Forse ci stiamo abituando al dolore… degli altri. Forse preferiamo rifuggirlo per proteggerci da una realtà disumana, insopportabile da vedere e anche da sentire raccontare. Ieri sera a Marsala è andata in scena, al Sollima, la vita di un uomo che ha scelto di non voltare la faccia. L’orrore e la compassione, due lati di una medaglia che Pietro Bartolo avrebbe preferito non indossare, ma che ormai fa parte della sua pelle.
“Curare le ferite del corpo è il mio lavoro. Fare del mio meglio per alleviare il dolore. Uno dei miei crucci, però, è quello di non possedere gli strumenti per curare le ferite dell’anima.”
Il racconto di Pietro Pellegrino:
Quelle ferite che si sono aperte nell’animo di tutti noi spettatori, ieri sera, intimamente coinvolti da un emozionante mémoire andato in scena sulle tavole del Sollima. Una palpabile commozione e, al tempo stesso, un’atmosfera paradossalmente serena ha fatto da cornice al racconto di una vita dove il dolore e la rabbia, mista a struggenti attimi di felicità e sorrisi, erano i protagonisti; anche se, per la verità, il vero protagonista è stato lui, Pietro Bartolo, il medico che da oltre venticinque anni accoglie e cura i migranti a Lampedusa. La sua esperienza è stata scritta da lui stesso e da Lidia Tilotta, giornalista della Rai, in “Lacrime di sale: la mia storia quotidiana di medico di Lampedusa fra dolore e speranze” (Mondadori, 2016). E questo eroe dei nostri tempi è anche il protagonista del film Fuocammare un documentario di Gianfranco Rosi, candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Il libro è la sua storia: la storia di un ragazzo mingherlino e timido, cresciuto in una famiglia di pescatori, che si è duramente battuto per cambiare il proprio destino e quello della sua isola. E che, memore di aver vissuto da ragazzino in prima persona l’esperienza del naufragio, lo racconta con struggente pathos concludendo amaramente che: «Ciò che non potevo sapere allora è che non solo quella notte sarebbe rimasta per sempre impressa nella mia mente ma che la mia esistenza sarebbe stata segnata da un mare che restituisce corpi e vite e che sarebbe toccato proprio a me salvare quelle vite e toccare per ultimo quei corpi.»
Ecco perché a lui restano quasi avvinghiate le storie di alcuni dei tanti migranti scappati dalle guerre o dalla fame, sopravvissuti miracolosamente a un viaggio terribile nel deserto, fra violenze e sopraffazioni inimmaginabili, che in mare hanno spesso visto morire i loro famigliari e, nonostante ciò, non si arrendono, determinati a iniziare una nuova esistenza in Europa.
E nella sua vita e sulla sua isola ci sono anche le storie di coloro che sono arrivati dentro orribili sacchi verdi, corpi inanimati, di chi fra le onde ha perso la propria vita, dei piccoli che non hanno nemmeno fatto in tempo a vedere la luce.
Pietro lotta ogni giorno con la morte perché, ad ogni sbarco, non sa mai cosa lo attende. Una volta ha davanti corpi di ragazze ustionate oppure, come quando incontrò Jasmine, deve preoccuparsi di giovani donne che, magari, hanno appena rotto le acque. È però a fare le ispezioni dei cadaveri che Pietro non si abitua e non si abituerà mai.
Pietro Pellegrino e Katia Regina