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21/05/2017 02:55:00

La Cassazione fa parlare di sè con sentenze corrette e a volte sbagliate

di Leonardo Agate  - La Cassazione in queste ultime settimane ha fatto parlare di sé, con sentenze che sono state variamente commentate dall’opinione pubblica.
Dopo circa venti anni, la Cassazione ha mutato il precedente orientamento giurisprudenziale , secondo il quale il coniuge divorziato deve continuare a assicurare all’ex coniuge il precedente tenore di vita, di quando erano vincolati nel matrimonio.

Certo, pensare venti anni per arrivare a questa conclusione ovvia, non è da tutti. A tutti, invece, è chiaro che, se due divorziano, prendono la decisione di vivere ognuno la propria vita diversamente da prima, e se ne assumono la responsabilità. Difatti, il nuovo indirizzo giurisprudenziale è stato salutato positivamente dalla grande maggioranza dell’opinione pubblica e anche dagli esperti di diritto. Uniche voci contrarie, ma poche, quelle di alcune inguaribili femministe, che hanno interpretato la sentenza come un nuovo attaccoall’indipendenza della donna.

Si può essere femministe e pure sceme. Il femminismo è stato, e in parte ancora è, un grande movimento che da un paio di secoli ha rivendicato condizioni di vita migliori per la donna, sottraendola al cappio del maschilismo e del paternalismo. Il movimento ha sensibilizzato in vario modo e con alterne vicende i politici di quasi tutti i paesi occidentali.

Quasi tutti gli obbiettivi femministi sono stati raggiunti da un pezzo. Il divorzio, da noi, fu una battaglia epocale a cavallo degli anni ’60 e ‘70 del vecchio secolo, perché il mondo cattolico lo ostacolò in tutti i modi, alla fine perdendo.

Oggi, la parità giuridica dei due sessi è stata legislativamente raggiunta, a volte con esiti esilaranti, come per esempio l’obbligatorietà che i due sessi siano rappresentati nei pubblici consessi, imponendo alle donne un obbligo di parteciparvi, indipendentemente dalla agibilità concessa con le nuove norme sulla parità giuridica.

Sentire adesso che le femministe si lamentano perché di solito era il marito che gli faceva condurre, con i suoi redditi, un alto tenore di vita, che non potranno più avere dopo il divorzio, è come dire che per le ex mogli il matrimonio rappresentava una buona sistemazione economica, vita natural durante. Non hanno ancora capito, certi gruppi di femministe, che i pari diritti e doveri loro giustamente riconosciuti, impongono anche rischi che una volta, ai tempi tristi della subordinazione all’uomo, non sopportavano. Se ne faranno una ragione.

Quindi, bene ha fatto la Cassazione a iniziare il nuovo corso giurisprudenziale, sia pure con molto ritardo.

Un’altra recente sentenza di Cassazione, che però in parte non condivido, è la n. 24084 del 15 maggio scorso. Non ne contesto la decisione, che è corretta. Solo ne contesto la motivazione, che è sbagliata. Il caso sottoposto alla Cassazione è questo: il Tribunale di Mantova ha condannato Si. Ja. alla pena di euro 2.000 di ammenda perché portava fuori dalla propria abitazione, a Goito il 6 marzo 2013, senza giustificato motivo, un coltello della lunghezza complessiva di cm. 18,5, idoneo all’offesa per le sue caratteristiche.

Richiesto dalla polizia locale di consegnarlo, aveva opposto rifiuto adducendo che il suo comportamento si conformava ai precetti della sua religione, essendo egli un indiano “Sikh”.

Avverso la sentenza del Tribunale, l’imputato ha presentato ricorso chiedendone l’annullamento perché - secondo lui - il porto di coltello era giustificato dalla sua religione e trovava tutela nell’art. 19 della Costituzione, che prescrive: “ Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.”

Il ricorrente ha travisato il senso dell’art. 19 della Costituzione. Anche se il buon costume si riferisce solo al classico comportamento di usuale modestia, senza alcun riferimento alle armi e ai coltelli, non si può consentire che, per la propria fede religiosa, una persona possa uscire di casa con un coltello di 18,5 cm di lunghezza.

La Cassazione ha correttamente confermato la sentenza di condanna del Tribunale. Quello che stona è la motivazione della sentenza di Cassazione, che stabilisce il limite invalicabile, nella convivenza tra soggetti di etnie diverse, nel “rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. E’ quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi…”

Gli Ermellini stavolta hanno fatto una sentenza giusta con una motivazione sbagliata. Difatti, l’art. 3 della Costituzione stabilisce che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Un cittadino di etnia diversa non ha alcun obbligo di conformarsi ai valori del mondo occidentale. Volendo può restare delle sue diverse convinzioni, solo che nel nostro Paese non può uscire a passeggiare con un coltello di dimensioni tali che le nostre leggi non consentono, anche se nel suo paese di origine può farlo.

Se, invece, come sostiene la Cassazione nella sentenza, gli immigrati devono conformare i loro valori a quelli del mondo occidentale, è come dire che devono rinunciare alle loro tradizioni, alla loro cultura, alla loro morale e alla loro individualità.

Diciamo che la Cassazione si è confusa: ha detto più di quel che doveva dire, pretendendo un annullamento della diversità etnica. Bastava che semplicemente dicesse: “Secondo le nostre leggi nessuno può andarsene in giro con un coltello di 18,5 cm”.