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05/05/2016 06:30:00

Pino Maniaci, e la fine delle icone antimafia

 E’ una notizia che sconvolge quella che riguarda Pino Maniaci, il direttore editore di Telejato, la tv antimafia di Partinico, indagato per estorsione dalla procura di Palermo che ieri gli ha notificato la misura cautelare del divieto di dimora nelle province di Trapani e Palermo. Per lui l’accusa è quella di aver chiesto soldi e favori, come l’assunzione dell’amante, ai sindaci di Partinico, dove ha sede Telejato, e Borgetto, in cambio di una linea più morbida nei loro confronti. E non è tutto, perchè dalle intercettazioni emerge un’altra faccia di Maniaci, baffuto, pittoresco e dal linguaggio spesso scurrile. Quello di una persona che si serviva della sua immagine di paladino dell’antimafia, di giornalista in trincea, per il proprio tornaconto. Si vantava con la compagna a telefono della sua “potenza”: "qui si fa come dico io... se no se ne vanno a casa". Era pronto a "sputtanare" tutti in televisione. E "tutti e dico tutti si cacano". Erano soprattutto i primi cittadini a temerlo. Alla sua compagna diceva ancora “quello che non hai capito tu è la potenza… tu non hai capito la potenza di Pino Maniaci. Stai tranquilla che il concorso te lo faccio vincere”. Una persona, emerge dalle indagini, in grado di prendere in giro tutti sugli attentati subiti. I suoi due cani impiccati, l’auto bruciata. Fece credere a tutti che si trattasse dell’ennesimo atto intimidatorio della mafia. Ma non era così, era la ritorsione del marito della sua amante. Una questione di donne, nient’altro, evidenziano gli inquirenti. Eppure lui aveva detto ai suoi colleghi giornalisti che Pino Maniaci e Telejato erano di nuovo sotto attacco. Aveva ricevuto la solidarietà di Renzi: “Sono tutti in fibrillazione, mi ha telefonato anche quello stronzo di Renzi”, dice intercettato Maniaci.
Negli anni ha subito aggressioni e atti intimidatori. Eventi che lo hanno fatto includere nell’elenco dei 100 migliori giornalisti al mondo per Reporter Senza Frontiere. Lui però reagiva così: “A me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi, appena intitolato l’oscar di eroe dei nostri tempi”.

Un’icona che crolla ascoltando ogni secondo di quelle intercettazioni. Ascoltando la sua voce consumata dalle sigarette, sporcata dai folti baffi, che sputa spocchia e delirio di onnipotenza. Che genera amarezza e sdegno in chi ha creduto nel sano impegno di quella piccola tv di provincia.

Il mondo dell’antimafia in questi ultimi anni ci ha abituati a paladini dell’antimafia che si sono rivelati poi impostori. Ma tutti, su Pino Maniaci, ci avrebbero messo la mano sul fuoco. Compresi noi, giovani giornalisti siciliani che in Telejato vedevamo un punto di riferimento, non tanto per le tecniche giornalistiche (non mi è mai piaciuto lo sproloquio gratuito), ma come roccaforte di resistenza e di coraggio. Ora tutto questo crolla sotto le menzogne di un uomo che, stando alle intercettazioni, ha preso in giro tutti.

In queste ore le reazioni alle notizie su Maniaci sono state diverse. Ce n’è una però che sconvolge e disarma. E’ quella di chi crede che sia un complotto dei poteri forti. E in tutto questo susseguirsi di reazioni, di commenti di opinionisti qualificati, questo ragionamento ti fa capire che la situazione è critica. Cioè quello secondo cui c’è il mondo dell’antimafia che crolla sotto i colpi di un complotto ordito proprio dai magistrati antimafia. E un “se capisce e non se capisce”, che gli amanti di Boris intuiranno. Una ipotesi di complotto paragonata ai sabotaggi subiti da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella procura dei veleni, quella di Palermo. Il punto è che Pino Maniaci non è Falcone, non è Borsellino, non è neanche Peppino Impastato.

Ecco forse questi fatti ci suggeriscono che è finita l’epoca dei paladini, l’epoca delle icone e dei titoli di legalità dura e pura su cui aggrapparsi. E’ finita l’epoca di aspettare l’idolo su cui affidarsi ad occhi chiusi, il nuovo messia dell’antimafia, il nuovo Peppino Impastato, il nuovo Falcone, il nuovo Borsellino. Il nuovo, il nuovo. No, quella è storia vecchia, tragica, irripetibile, e ce la portiamo nella memoria. Le icone sono finite, è finito il tempo di osannare chi grida “pezzo di merda” al mafioso in maniera superficiale, senza poi raccontare il territorio. Ed è finita anche l’ammirazione di molti giovani siciliani in quell’uomo baffuto, col fare pittoresco, che predicava antimafia nelle scuole, vinceva premi, alla faccia dell’antimafia.


Francesco Appari



Editoriali | 2024-03-26 06:00:00
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