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18/04/2015 06:40:00

"Quanto siamo pronti a difendere la libertà della stampa a Marsala?"

 La conclusione del processo civile che vedeva contrapposti il Comune di Marsala ed il direttore, nonché l’editore di questo giornale, ha una profonda rilevanza nel panorama giuridico nazionale, in tema di diffamazione e libertà di stampa.
Come avevo annunciato, per il rispetto che si deve al Tribunale che deve decidere ed anche perché sono convinto che i processi si celebrano nelle aule di giustizia, nulla ho scritto e detto in corso di processo: tuttavia, adesso, alcune considerazioni ritengo sia doveroso farle.
La vicenda si è conclusa con una rinuncia agli atti del giudizio da parte del Comune di Marsala, che ha condotto, dunque, all’estinzione dello stesso, ma si è conclusa anche con una rinuncia alla domanda, e cioè al “diritto sostanziale” vantato: sebbene, dunque, il processo non abbia conosciuto, formalmente, una parte vittoriosa ed una soccombente è, indubbiamente, vero che proprio per la peculiarità giuridica della rinuncia al diritto, (che prescinde da un consenso delle parti chiamate in causa: per intenderci, non è necessaria alcuna trattativa!) nella prassi quest’ultima è significativa di una rinuncia alle proprie ragioni.
Detto questo, in punta di diritto, altre considerazioni sono necessarie.
La vicenda della citazione in giudizio di questo giornale, per una serie di articoli ed addirittura per la linea editoriale, ad opera di una Istituzione ha rappresentato, di fatto, un unicum nel panorama giurisprudenziale nazionale.
Soltanto l’attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha tentato di condurre in giudizio il settimanale “L’Espresso”, per la copertina dal titolo “Bevi Napoli e poi muori”.
Per questa vicenda sono stato interpellato da associazioni a difesa della libertà di stampa che mi chiedevano come potesse essere possibile un simile comportamento.
La vicenda, insomma, ha avuto un rilievo nazionale eclatante, tanto che nel corso di numerose manifestazioni e convegni nazionali sulla libertà di stampa venivo quasi sempre interpellato su questo “caso”.
Vorrei spiegare perché ho, da subito, considerato grave questa azione giudiziaria.
L’ho considerata grave perché nelle democrazie occidentali, soprattutto quelle anglosassoni, in cui la stampa riveste il ruolo di vero e proprio Potere, è inusuale che un politico quereli un cronista: lo “vietano” ragioni di opportunità e la consapevolezza che il Potere politico deve essere controllato dalla Stampa.
Che poi un politico quereli a nome della collettività è circostanza che avrebbe dell’impossibile.
Tacendo delle ragioni giuridiche, che mi fanno pesantemente dubitare della legittimità di una simile condotta, vi sono delle ragioni che definirei di opportunità, e farei un esempio su tutti: il Watergate.
Pensate che Nixon, condotto alle dimissioni dalla Presidenza, per quella inchiesta non querelò mai i due giornalisti del Washington Post, perché ciò sarebbe stato considerato inaccettabile, un arbitrio. Immaginate, addirittura, se Nixon avesse citato i giornalisti a nome della Presidenza degli Stati Uniti!
Peraltro, ciò che ripeto sempre è che la libertà di stampa non è a presidio (soltanto ed esclusivo) dei giornalisti (perché se così fosse mi si rimprovererebbe di intervenire, quasi, per interesse personale, difendendo in giudizio, anche per conto di Ossigeno per l’informazione, numerosi giornalisti) ma è a presidio della collettività, dei cittadini tutti, perché soltanto una Pubblica Opinione informata e, quindi, consapevole può concorrere, al meglio, alla vita democratica.
Mi astengo, per una serie di ragioni, anche deontologiche, dalle considerazioni più tecniche e giuridiche affrontate nel corso del lungo processo come difensore di questo giornale e del suo direttore, ma un’ultima notazione è doverosa.
A seguito dei tragici eventi di Parigi, che hanno sconvolto tutti noi perché hanno intaccato alcuni dei più importanti valori su cui poggia la nostra Civiltà occidentale, ci siamo detti tutti Charlie: ma quanto, in realtà, il nostro Paese, e finanche la nostra città, difendono la libertà di stampa e la libertà di opinione di quest’ultima? Quanto siamo pronti, tutti noi, a difendere, fino allo stremo, la libertà della stampa di “fare le pulci” al potere quando quel potere è a noi più vicino? Perché questo è il punto. Perché non può sottacersi che a fronte del clamore suscitato a livello nazionale, a parte il sincero interesse di singoli cittadini e di qualche personaggio politico, il resto della comunità locale, anche adesso, all’esito del processo, ha mostrato un imbarazzante silenzio. O forse, mi sentirei di dire, un imbarazzato silenzio.
Ma la libertà è come il coraggio: chi non ce l’ha, non se la può dare.

 

Avv. Valerio Vartolo