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26/05/2019 09:49:00

"Se volo voto? No. Se voto, volo...."

<<Noi il 26 siamo impegnati.. E voi?>>

Questa la domanda posta al termine di un video dai promotori del Comitato “SE VOLO VOTO”, alla quale desidero rispondere.

Premesso che tutte le forme di protesta civile esercitate in forma pacifica, vanno rispettate ed anche sostenute quando se ne condividono le rivendicazioni come in questa circostanza, confesso che lo slogan scelto dal comitato non mi piace e mi sembra errato.

Slogan di forte impatto comunicativo, oltre che di moda, vista l’aria che tira tra la gente e la scarsa simpatia che da molti anni ormai riscuotono i politici nostrani, a tutti i livelli e di qualsiasi colore.

Slogan che personalmente ritengo diseducativo ed irrispettoso. Diseducativo per quei giovani che saranno chiamati alle urne per la prima volta proprio domenica 26. Irrispettoso per i nostri avi che si sono battuti per il riconoscimento del diritto al voto.
In Italia il suffragio universale fu introdotto nel 1945 e fu applicato per la prima volta l'anno successivo, sappiamo bene dopo quali tragici eventi.
Il “Diritto di Voto”, costituzionalmente garantito nel nostro Paese a tutti i cittadini, come stabilito per legge, è il diritto di partecipare con il proprio voto alla formazione degli organi elettivi, in tal modo esercitando la propria potestà decisionale, quale manifestazione della propria volontà.
Il “Voto” è il diritto politico per eccellenza ed è strettamente legato alle nozione di “Democrazia”, di “Sovranità Popolare” e di “Cittadinanza”.
Ma l’art. 48 della Costituzione della Repubblica italiana sancisce, anche, che l’esercizio del voto è “dovere civico”. Nell'idea base dei costituenti era infatti ancora vivo il ricordo del diritto di voto come una conquista di civiltà, che costò molti sacrifici in termini umani e di lotte sociali. Addirittura, l'art. 115 del T.U. del 1957 comminava sanzioni per chi non si fosse recato al voto. Rimanendo libera la determinazione di chi volesse diversamente astenersi senza esprimere preferenza alcuna, nel 1993 si è pensato di abrogare tali sanzioni.
Ciò non sminuisce la qualità di “obbligo morale” del recarsi alle urne. Infatti, il disimpegno elettorale deve essere considerato un atteggiamento contrario al ruolo sociale e civile, prerogativa e dovere di ogni “Cittadino”. Inoltre, non votare significa delegare ad altri le proprie scelte. Il voto dà la possibilità di assumersi le proprie responsabilità nell'interesse generale del Paese, prima ancora di quelli individuali.
In qualsiasi comunità la qualità della democrazia e della convivenza poggiano sul senso civico di appartenenza. Le componenti si riconoscono nelle “Idee”, nei “Valori” e nella “Fiducia”.
Detto ciò, occorre riconoscere che negli ultimi anni i partiti, che già da un pezzo accusavano una certa debolezza, si sono trasformati in sigle e simboli svuotati con singoli o gruppetti che agiscono ormai in perfetta autonomia, rimarcando ad ogni occasione le distanze dai compagni di banco, tra polemiche fratricide e piccole risse.
Il sospetto che correre alle urne, come si è fatto per decenni, sposti poco il corso delle cose attraversa l’intera Europa, ed è diventato uno dei pilastri della campagna di tutti coloro che hanno messo nel mirino la politica tradizionale. Complice la paradossale inadeguatezza di certi sistemi elettorali.
Se questo è il quadro, come si può sperare di trascinare alle urne chi non ne ha più voglia? Difficile, ma doveroso. In pochi anni è cambiato tutto. C’era una volta il voto di protesta, l’avvertimento, il segnale forte per dare una sveglia ai partiti, si diceva così. Poi è arrivato il rifiuto della politica che c’era, il vaffa, il disprezzo, l’odio per la casta e i suoi privilegi.
Perché troppo spesso i nostri rappresentanti istituzionali hanno dimenticato che fare “Politica” vuol dire sollecitare i cittadini a pensare e a partecipare attivamente alla vita politica, vivendone a pieno lo spirito collettivo. Spingere a pensare come un insieme, e non solo come un singolo.
Bisogna, allora, trovare la giusta terapia per una malattia che rischia di cronicizzarsi.
Pensiamo che l’astensionismo sia la scelta migliore? Anche solo simbolicamente e per un singolo obiettivo?
Rilanciare l’aeroporto è un favore o un dovere di chi amministra verso la collettività trapanese?
E dopo l’aeroporto, quante altre questioni irrisolte rimarranno nascoste sotto il tappeto?
Quanto mi sarebbe piaciuto leggere: “SE VOTO VOLO”!
Affermare, cioè, la preminenza del diritto/dovere (intanto IO VOTO), rispetto al sospetto del “favore”: tu dai una cosa a me, io do una cosa a te! (Ti voto solo se mi risolvi il problema) imperante dalle nostre parti.
La mia non è una valutazione sul valore della protesta, che denuncia uno scandaloso ritardo ed un pressappochismo inaudito nell’affrontare i problemi di una infrastruttura vitale per il nostro territorio come l’aeroporto “V. Florio” di Trapani Birgi.
Queste mie considerazioni cercano di spostare l’attenzione sull’aspetto culturale, sulla giusta mentalità con la quale aggredire il problema, per cercare di meglio risolverlo.
Ho seguito con molta attenzione le iniziative encomiabili del Comitato, ed ho sperato fino all’ultimo che, nell’imminenza dell’appuntamento elettorale, si decidesse di recarsi comunque alle urne, visto anche che qualcosa ha iniziato a muoversi dalle parti del “Palazzo”.
L’astensionismo mi sembra una protesta passiva, una tagliola che tritura il tutto indistintamente, senza lasciare tracce residuali.
Ben altra cosa sarebbe vedere convergere tanti voti di protesta su una lista o singolo candidato, e farsi così “contare” a futura memoria.
Ma c’è anche un altro sistema – probabilmente meno noto – che gli elettori possono mettere in pratica per non votare ma far comunque arrivare il loro messaggio di protesta: il rifiuto della scheda con verbalizzazione delle motivazioni di protesta. Un elettore può andare al seggio, farsi registrare e poi rifiutare la scheda (senza prenderla in mano), chiedendo di mettere a verbale le motivazioni del suo rifiuto. Se si rifiuta di prenderla il suo voto non verrà conteggiato ma le proteste verranno verbalizzate dal presidente di seggio (anche se non è obbligato a farlo). L’elettore che decide di rifiutare la scheda può anche scrivere a casa le motivazioni e consegnarle al presidente in modo che le alleghi al verbale, facendo così risparmiare tempo durante le operazioni di voto e non creare alcun intralcio.

Nel 2013 su tale possibilità di rifiutare la scheda per protesta, il Ministero dell’Interno ha diffuso una circolare alle Prefetture per spiegare come agirein questi casi. La Prefettura di Palermo, per esempio, sulla base di quelle disposizioni ha pubblicato le spiegazioni per i presidenti di seggio. La prefettura parla del caso di rifiuto da parte dell’elettore di ritirare la scheda elettorale, definendo questa possibilità una “eventuale forma di astensione dal voto”. Il rifiuto della scheda, spiega la prefettura, “non trova una specifica disciplina normativa, ma non può ritenersi vietato”. (Circolare Prefettura di Palermo Prot. n. 41564 del 24 maggio 2013 pubblicata il 27/05/2013 


La stagione dell’antipolitica, prima o poi, finirà. Come spero si tramuti da illusione in convinzione diffusa l’opinione che la Politica, prima o poi, riesca realmente ad aggredire i problemi delle città e delle periferie, a rispondere alla disperazione, arginare la rassegnazione, a farsi carico di quelli che non ce la fanno più. Per ora la risposta, difficile ma necessariamente utile, sta nell’impegno di ciascuno per trasformare le promesse in realizzazioni.
Per vedere ascoltata la voce dei cittadini abbiamo bisogno di tutti, nessuno escluso. Per questo dobbiamo gridare cosa ci sta a cuore.
<<Noi il 26 siamo impegnati.. E voi?>>
<<Io il 26 sono libero: andrò a votare!>>
Mi auguro di essermi spiegato.

Vito Angelo