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28/10/2014 06:25:00

Trattativa Stato - mafia. E' terminata l'udienza di Napolitano. I particolari

14,30 - Giorgio Napolitano "non ha mai parlato esplicitamente di trattativa e sul fatto di poter essere oggetto di attentato" nel '92-'93 "ha detto che lui non si era minimamente turbato perché faceva parte del suo ruolo istituzionale". Lo ha spiegato uno degli avvocati di Nicola Mancino, Nicoletta Piergentile, ai microfoni di Sky Tg24 al termine della deposizione del presidente della Repubblica al Quirinale nell'ambito del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia.

"Adesso - ha aggiunto Piergentile - si andrà avanti con tutti gli altri testi in calendario". 

13,40 - E’ stato il giorno di Napolitano, nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Il capo dello Stato ha testimoniato al Quirinale davanti alla Corte d'assise. L'udienza si è svolta a porte chiuse e perciò chiusa alla stampa anche se il contenuto dei verbali non sarà secretato e si potrà perciò conoscere in un secondo momento. Una quarantina i partecipanti fra corte, avvocati e cancellieri.
"E' un momento importante di democrazia", commenta a Sky TG24 l'ex magistrato Antonio Ingroia, un tempo titolare dell'inchiesta. Ingroia parla però di "strettoia" delle ragioni di Stato e della politica, che rischia di rendere la testimonianza di Napolitano "un'occasione mancata".

 Primi quesiti sulla lettera di D'Ambrosio - Una ventina le domande dei Pm di Palermo. Un primo blocco di quesiti riguarda la lettera che Loris D'Ambrosio, ex consigliere giuridico di Napolitano, a giugno del 2012, due mesi prima di morire, inviò al Capo dello Stato quando, amareggiato dalla campagna di stampa seguita alla pubblicazione delle intercettazioni delle sue telefonate con Nicola Mancino, presentò al Presidente della Repubblica le sue dimissioni e Napolitano le respinse.
Nella lettera, riferendosi agli anni tra l'89 e il '93, quando era all'alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia con Falcone, D'Ambrosio esprimeva a Napolitano il timore "di essere stato considerato l'utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi". "Come ho scritto anche ad altri", si leggeva nella lettera. Sa Napolitano a quali timori si riferiva D'Ambrosio? Ne avevano mai parlato?, chiederanno i Pm. In realtà il Capo dello Stato in una lettera alla Corte di Assise ha già risposto di non avere elementi utili da riferire sul punto, ma è da qui che i Pm partiranno nel tentativo di chiarire se, gli "indicibili accordi" di cui si parla nella lettera fossero collegati alla trattativa.

L'allarme attentati nel '93 e il 41 bis - Affrontato l'argomento D'Ambrosio, si è passato all'allarme attentati lanciato dal Sismi nel '93. Gli 007, riferendo quando saputo da una fonte confidenziale, parlarono di un rischio per Napolitano e per Giovanni Spadolini. Le "riservate" dei Servizi sono state acquisite al processo. All'epoca Napolitano era presidente della Camera. Seppe dell'allarme? Gli vennero aumentate - come fanno capire i Servizi - le misure di sicurezza?. Temi importanti per la Procura, visto il riferimento di D'Ambrosio al '93.
Ed è probabile, poi, che i Pm abbiano chiesto a Napolitano se fu informato della nota della Dia e di quella dello Sco che, ad agosto del '93, parlarono per la prima volta di un tentativo di destabilizzazione posto in essere da Cosa nostra per avviare una trattativa volta a stemperare il 41 bis.

Il controesame dei legali delle parti - Dopo i pm è stata la volta dei controesami dei legali. In particolare l'avvocato di Totò Riina - il boss ha fatto sapere di essere "dispiaciuto" di non potere assistere dal carcere in cui è detenuto all'udienza in videoconferenza - ha chiesto ed ottenuto di potere interrogare Napolitano su un tema più ampio e relativo "a quanto accadde nel 1993 e nel 1994". Ma non è scontato che il difensore oltre al controesame faccia l'esame domani: perché il suo turno nell'interrogatorio del presidente della Repubblica, salvo accordo delle parti, sarebbe tra alcuni mesi. La corte, all'ultima udienza, ha ricordato comunque che l'esame di Napolitano è subordinato alla sua disponibilità sottolineando che il presidente potrebbe revocarla in qualunque momento.

07,00 -  E' il giorno più importante, simbolicamente, del processo sulla presunta trattativa Stato - mafia.  Al Quirinale, a partire dalle 10, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano deporrà - se lo vorrà - come teste della pubblica accusa. Il clima è molto teso.  La presenza in udienza del procuratore aggiunto Leonardo Agueci non è andata giù ai pm del processo, Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. La Procura di Palermo, infatti, continua ad essere spaccata sulla "trattativa", e molti magistrati non fanno mistero di ritenere tutta l'inchiesta un polverone creato mentre Antonio Ingroia era alla vigilia del suo impegno in politica. 
Del Bene e Tartaglia hanno dichiarato alla vigilia. "È un momento difficilissimo. Questo processo - ha dichiarato Del Bene - non è voluto da tutti, specie dai rappresentanti dello Stato". Parole che hanno suscitato reazioni indignate da parte di molti esponenti delle istituzioni.  "Con il termine Stato - ha poi rettificato Del Bene- mi riferivo ad esponenti della politica nel senso generale della parola, e nello specifico a nessuna carica istituzionale». Aggiunge Tartaglia: «Noi a Palermo lo sappiamo bene come si fa la lotta alla mafia, così come la facevano Falcone e Borsellino. La lotta si fa da innamorati della verità, quella cosa che ci sostiene nei momenti più difficili».

 

Ma cosa è successo tra li 1992 e il 1993? Tante cose. Adesso arriva l'ultima rivelazione.Un documento del comandante generale dell'Arma dei carabinieri Antonio Viesti - agli atti del processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia -, indirizzato al Servizio segreto militare il 20 giugno ‘92, segnalava che dopo Falcone (ucciso il 23 maggio a Capaci) l'obiettivo della mafia sarebbe stato il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino, che «correrebbe seri pericoli - si legge nel documento pubblicato ieri dal Corriere della Sera - per la sua incolumità a causa delle ultime inchieste sulla mafia trapanese». La nota ribadisce che anche i politici siciliani Salvo Andò (Psi) e Calogero Mannino (Dc) correvano rischi, come era stato segnalato già dopo l'omicidio di Salvo Lima avvenuto il 12 marzo ‘92. L'appunto indica anche come possibili vittime della mafia due carabinieri in servizio a Palermo: il capitano Umberto Sinico e il maresciallo Carmelo Canale, che lavorava con Borsellino. Viesti scriveva che le finalità della mafia erano quelle di «indurre un clima di grave intimidazione nei confronti di politici, per flemmitizzare l'impegno contro la criminalità ed eliminare fisicamente alcuni inquirenti evidenziatisi nella recente, proficua attività di repressione».

 

Tornando all'udienza di oggi, al Quirinale  saranno ammessi, a parte i giudici, soltanto i pm, gli avvocati e le parti civili.  Per arrivare a questo interrogatorio ci sono volute ben due ordinanze. Napolitano avrebbe dovuto rispondere su un solo articolato di prova, cioè sulla lettera che gli fu inviata dal suo defunto consigliere giuridico Loris D'Ambrosio il 12 giugno 2012 sulle polemiche per le telefonate al Quirinale di Nicola Mancino, intercettato dai pm palermitani nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. D'Ambrosio ribadiva la propria correttezza, ma esprimeva anche il timore «di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993». Di qui la richiesta di citazione dei pm, il 17 ottobre 2013, del Capo dello Stato. Napolitano, il 31 ottobre successivo, mandò una lettera alla Corte d'Assise in cui ribadiva la propria disponibilità a testimoniare, ma sottolineava di non avere avuto «ragguagli» o «specificazioni» da D'Ambrosio riguardo ai quei timori e pertanto di non avere «da riferire alcuna conoscenza utile al processo».
Con l'ordinanza di venerdì scorso, la Corte ha accolto la richiesta degli avvocati Luca Cianferoni e Giovanni Anania, che difendono il boss Salvatore Riina, di esaminare il capo dello Stato e l'interrogatorio potrebbe allargarsi anche all'allarme attentati ai danni dello stesso Napolitano e dell'allora presidente del Senato Giovanni Spadolini, lanciato dal Sismi tra il 1993 e il 1994, secondo quanto emerge dai documenti depositati dai pm ed acquisiti dalla Corte di Assise. «Credo - ha dichiarato Cianferoni - che il Presidente possa offrire un contributo importante per ricostruire quella stagione».

La sala scelta dovrebbe essere quella del Bronzino. È lì, dove abitualmente il presidente della Repubblica incontra i Capi di Stato ospiti prima dei colloqui ufficiali, che Giorgio Napolitano testimonierà al processo.  All’udienza dovrebbero partecipare una quarantina di persone: i giudici - togati e popolari - la cancelliera, cinque pm e gli avvocati delle sette parti civili e dei 10 imputati non ammessi dalla corte a partecipare direttamente o in videoconferenza alla testimonianza. Il Quirinale resta off limits alla stampa che non potrà seguire l’udienza neppure a distanza, attraverso la videoregistrazione: possibilità non esclusa dai giudici che avevano dato il nulla-osta alla presenza da remoto dei media, ma «bocciata» dal Colle che ha regolamentato rigidamente l’accesso al palazzo. Le parti processuali non potranno infatti portare cellulari, tablet, pc e strumenti di registrazione. L’udienza sarà verbalizzata secondo le regole ordinarie, i verbali andranno poi alla corte e saranno disponibili per le parti, una volta trascritti, nei giorni successivi. A rivolgere per primo le domande al capo dello Stato sarà il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Dopo i pm sarà la volta dei controesami dei legali. La corte, all’ultima udienza, ha ricordato comunque che l’esame di Napolitano è subordinato alla sua disponibilità sottolineando che il presidente potrebbe revocarla in qualunque momento.