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25/05/2015 16:50:00

24 maggio 1915: l'Italia entrò in guerra

 di Dino Agate - Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra contro l'Austria Ungheria. Dopo quasi un anno di trattative segrete, condotte sia a Vienna con gli austriaci, sia a Londra con l'Intesa, alla fine il re decise di combattere con l'Intesa. Le trattative furono condotte da emissari del re, che non informò il governo che a cose fatte. In un discorso tenuto da Giolitti dopo la fine della guerra, lo statista dichiarò che se il parlamento fosse stato informato, difficilmente avrebbe dato il consenso alla guerra. Il re e la sua corte giocarono su norme statutarie ambigue, che riconoscevano a lui il comando delle forze armate e la decisione sulle alleanze internazionali, senza escludere che il parlamento fosse preliminarmente informato dell'andamento delle trattative e delle intenzioni del re.

L'obbiettivo del sovrano era di partecipare alla guerra per ottenere la sovranità sulle terre irredente. Avrebbe potuto ottenere dall'Austria parte delle terre italiane sotto l'Austria Ungheria, assicurando la sua neutralità. Ma le trattative a Vienna escludevano che si potesse avere tutto. Questa limitazione convinse il re a giocare d'azzardo, passando dalla parte dell'Intesa, che una volta vinta la guerra avrebbe soddisfatto le aspettative italiane. Si pensava pure che la guerra dovesse essere breve, ed invece durò per noi italiani dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918. Il proclama della dichiarazione di guerra é riportato nella lapide posta in città sotto l'arco di Porta Nuova. Di fronte é posta la lapide del proclama della vittoria, emesso da Armando Diaz.

La Prima guerra mondiale inaugurò, con una immane carneficina di uomini, gli eccidi del secolo ventesimo. L'Italia ebbe 600mila militari morti ed altri 600mila morti civili. Questi ultimi sul teatro delle battaglie.

Al fronte stettero vicini nelle trincee e negli assalti alla baionetta italiani provenienti da tutte le regioni, dal Sud, dal centro, dal Nord e dalle isole. Si capivano poco nei dialoghi, allora che l'analfabetismo era comune e ognuno parlava il dialetto, ma la vita in comune, al cospetto della morte, li affratellò e li fece sentire italiani. A causa della guerra si modificarono i rapporti sociali tra uomo e donna. Gli uomini al fronte lasciarono le famiglie prive della loro presenza e del loro aiuto. Furono spesso le donne a sostituirli nelle incombenze lavorative e di casa.

La vittoria diede alla nazione tutte le sue tradizionali terre, ma i militari che tornarono dalle trincee sentirono lo spaesamento di chi ritiene di avere diritto a qualcosa, per quello di importante che ha fatto, e non c'é nessuno che lo ristora. Nacque, allora, nei reduci e nelle loro famiglie, l'insoddisfazione per il risultato grazie a loro ottenuto. Il nazionalismo nascente divenne più spesso ed irruento. Non bastarono più i governi liberali, che decidevano lentamente e senza incisività. Da quest'insoddisfazione sorse l'aspirazione a governi più forti, che potessero modificare positivamente la società. Spuntò la pianta del fascismo, che prevalse in pochi anni sull'altra pianta del socialismo.