Un intervento dedicato all’impegno educativo che coinvolgerà la chiesa italiana nel prossimo decennio: “ L’esigenza di un rinnovato impegno educativo non riguarda solo un aspetto della nostra vita,ma tutte le sue dimensioni, e non tocca soltanto i più giovani ma richiede l’impegno di tutti - ha affermato il vescovo - Abbiamo bisogno di educarci al senso cristiano della vita che abbraccia tutto, anche il senso civico, della giustizia, del bene comune. Noi diciamo che Gesù ci ha salvato con la sua croce e si è fatto carico delle nostre croci, ed è verità inconfutabile. Ma oggi abbiamo capito che egli non ci esonera, ma esige che lo seguiamo facendoci carico con lui della croce, ogni giorno. Senza questo farci carico personale e comunitario, non possiamo illuderci che qualcuno dal di fuori venga a risolvere i nostri problemi. Non possiamo continuare a farci del male da noi stessi, a scaricare sempre su qualcun altro le colpe perché le cose non vanno, mentre troppe cose cominciano ad andare davvero in malora.”
Di seguito, il testo completo dell'omelia del vescovo Mariano Crociata:
Sono lieto di partecipare ad un momento così significativo della vita della comunità parrocchiale della Chiesa Madre e di tutta la città di Alcamo.
I motivi di preghiera e di riflessione che si intrecciano in questa festosa ricorrenza sono più d’uno, ma essi non faticano a comporsi in unità proprio attorno alla Parola di Dio che le letture bibliche domenicali ci hanno fatto ascoltare.
L’anniversario della elevazione di questa Chiesa Madre a Basilica pontificia minore, innanzitutto; un atto con il quale veniva riconosciuto, quarant’anni fa, a questa chiesa un particolare legame con le basiliche romane, e quindi con il successore di Pietro, in forza della cura e della partecipazione alla celebrazione liturgica che in essa ordinariamente vi si svolgeva. A distanza di quarant’anni e in tempi non certo facili la vostra presenza così numerosa e raccolta qui stasera sta a confermare la ragione di quel riconoscimento. In questa chiesa si condensa e riassume la vita di una comunità cristiana che con i suoi membri, pietre vive del tempio di Dio, costituisce una Chiesa non fatta di mura ma di esistenze sante, di relazioni personali nuove, di fermento per una società più a misura d’uomo.
Una intensa vita di preghiera e di culto, condotta in autenticità, è la condizione per la maturazione di una comunità di credenti che si manifesti agli altri come popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito. Qui infatti sperimentiamo lo «spirito di grazia e di consolazione» di cui parla oggi il profeta Zaccaria; qui scaturisce la «sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità», perché si realizza ciò che il Signore dice: «guarderanno a me, colui che hanno trafitto». Qui perveniamo davvero alla coscienza di noi stessi, della nostra condizione di creature fragili, bisognose di perdono e di grazia da Dio. Qui soprattutto entriamo nella piena comunicazione con Dio, offrendo, per Cristo, con Cristo e in Cristo, il sacrificio perfetto e gradito, dono eucaristico per la vita del mondo. Ritorniamo infatti al cuore della vita di Cristo Gesù e della nostra salvezza, e cioè la morte in croce, a cui egli è andato incontro in piena consapevolezza e libertà. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli uomini […], venire ucciso e risorgere il terzo giorno», come ci ricorda il vangelo di Luca. Frequentare questa chiesa per coltivare e rinnovare la propria coscienza credente insieme ai fratelli della comunità: questo permette di far riflettere nell’onore reso all’edificio sacro la gloria che splende sul volto di una Chiesa viva, la cui presenza nella città trasforma in tempo e spazio per Dio ogni circostanza e ogni ambiente nella vita personale e sociale. Come avviene questo passaggio dal culto alla vita, dal tempio alla città trasfigurata dalla testimonianza cristiana?
Tra altri, il Vangelo ci indica oggi due condizioni strettamente legate l’una all’altra: la domanda di Gesù e il suo invito a prendere la croce.
Mi pare importante osservare che prima di fare la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?», Gesù «si trovava in un luogo solitario a pregare». Il suo dialogo con i discepoli è preceduto e preparato dal dialogo con il Padre, di cui impara ad accogliere la volontà e il progetto. Egli parla a noi uscendo dal parlare con Dio, anzi quasi prolungandolo con l’inserire anche noi nella sua preghiera a Dio. Noi possiamo ascoltare Dio in Gesù perché siamo resi partecipi del dialogo eterno delle persone divine che Gesù continua nel tempo nella forma della preghiera. Qui siamo come i discepoli; attorno a lui lo vediamo pregare, entriamo anche noi in qualche modo nella sua preghiera e ci disponiamo ad ascoltarlo e a dialogare con lui, e per lui nel suo Spirito con il Padre. Lo spazio sacro della chiesa di pietre si trasfigura in segno dello spazio infinito della comunione con Dio. Prendiamo coscienza che noi preghiamo davvero se entriamo nella preghiera di Gesù, ascoltandolo e rispondendo a lui.
Nella preghiera l’uomo Gesù apprende la sua identità personale di Figlio unico ed eterno di Dio e dalla preghiera ci conduce attraverso una domanda alla scoperta della sua identità messianica, di inviato di Dio. Ma come possiamo rispondere a tanto interrogativo senza sentirci interpellati personalmente e insieme? Rispondere alla domanda di Gesù non è solo elaborare una nozione, ma prendere una decisione e prendere una decisione su se stessi. E possiamo prendere una tale decisione se sappiamo chi siamo, chi vogliamo essere. Gesù ci vuole dire che finché non ci raggiunge la sua domanda noi non possiamo sapere veramente chi siamo. Di fronte a lui noi perveniamo alla nostra identità, al nostro essere persone, creature e figli di Dio. La domanda di Gesù squarcia il mistero sulla sua persona e sulla nostra identità. Qui, alla sua presenza sommamente eloquente e operante, noi raggiungiamo la verità di noi stessi di fronte a Dio nella comunione con lui attraverso Gesù o, meglio, attraverso il sacrificio di Gesù. Poiché dire che Gesù è il Messia non basta se non comprendiamo e accettiamo che egli è il Messia che si sacrifica per noi, muore e risorge.
Così giungiamo al punto decisivo, in cui si svela la verità o la fatuità della nostra risposta, ovvero l’invito a prendere a nostra volta la croce per seguire Gesù. Tutto ciò che abbiamo detto si compie nella decisione e nel gesto di seguire Gesù nel suo cammino verso la croce, che con lui e in lui è risurrezione. Tutto il nostro culto e ogni agire ecclesiale si condensa in questo gesto supremo che ci rende veramente Chiesa di Cristo e di Dio di fronte al mondo. Mi preme sottolineare solo un aspetto della parola di Gesù, un invito che vorrei porre a sua volta nella luce della presenza materna di Maria, che celebriamo con il titolo di Madonna dei miracoli. È lei che nel vangelo di Giovanni ci prepara ad accogliere Gesù con l’invito che risolverà l’improvviso imbarazzo in una festa di nozze a Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino si compie anticipatamente e invisibilmente nella disponibilità dei servi a fare ciò che Gesù dice loro. Anche noi sentiamo l’eco di questa parola e vogliamo fare qualsiasi cosa il Signore ci dica, anche di rinunciare a noi stessi, prendere la croce e seguirlo.
La parola su cui vorrei in ultimo soffermarmi è quell’indicazione temporale così decisiva: «ogni giorno». Che cosa significa prendere la croce ogni giorno? Soprattutto una cosa: caricarsi della propria vita, della propria fede, del proprio dovere, della propria responsabilità, degli impegni presi, delle esigenze della giustizia, delle attese e dei bisogni degli altri, anche quando diventano un peso, anche quando costano e fanno piangere e sanguinare. C’è un ambito, in cui tradurre il prendere la croce ogni giorno, che vorrei semplicemente evocare in questo momento, ovvero l’ambito educativo. Non ne parlo solo per dovere d’ufficio. Il fatto che come vescovi italiani abbiamo deciso di dedicare un impegno prioritario al compito educativo nel prossimo decennio è espressione della consapevolezza di una urgenza e di una sfida che il papa Benedetto XVI non ha esitato a definire «emergenza educativa». Lo abbiamo fatto, questo richiamo, anche nel documento su Chiesa italiana e Mezzogiorno, indicando nella responsabilità educativa uno snodo cruciale per il futuro delle nuove generazioni e di tutto il nostro paese, anche in riferimento al ritardo economico e sociale del Meridione. Siamo chiamati a prendere in mano la nostra vita, sul piano personale e sociale, spirituale e morale, ecclesiale e civile, economico e politico, e a dar prova del nostro senso di responsabilità e della nostra fedeltà a noi stessi. Poiché l’esigenza di un rinnovato impegno educativo non riguarda solo un aspetto della nostra vita,ma tutte le sue dimensioni, e non tocca soltanto i più giovani ma richiede l’impegno di tutti. Abbiamo bisogno di educarci al senso cristiano della vita che abbraccia tutto, anche il senso civico, della giustizia, del bene comune. Noi diciamo che Gesù ci ha salvato con la sua croce e si è fatto carico delle nostre croci, ed è verità inconfutabile. Ma oggi abbiamo capito che egli non ci esonera, ma esige che lo seguiamo facendoci carico con lui della croce, ogni giorno. Senza questo farci carico personale e comunitario, non possiamo illuderci che qualcuno dal di fuori venga a risolvere i nostri problemi. Non possiamo continuare a farci del male da noi stessi, a scaricare sempre su qualcun altro le colpe perché le cose non vanno, mentre troppe cose cominciano ad andare davvero in malora.
La grazia e l’esempio di Gesù e l’intercessione di Maria SS. Madonna dei miracoli ci conceda di ravvederci per imparare la virtù della perseveranza nella fede, nel bene, nella giustizia.