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02/02/2018 06:00:00

Castelvetrano e le tasse non pagate. Quale novità? Oggi come ieri, la stessa storia...

 42 milioni di euro. E’ la voragine fiscale individuata dalla commissione straordinaria del comune di Castelvetrano, dopo lo scioglimento per mafia. Tributi non pagati, concessioni edilizie e convenzioni a canoni risibili ed una lotta all’evasione assestata all’1,50% che rappresenta, come riferito dal Commissario Salvatore Caccamo, quanto l’evasione fosse legalizzata.

Evasione che, nell’ultimo quinquennio ha raggiunto il 65%, un tetto superiore a quello di altri comuni simili.

Certo, la semplificazione che quasi due castelvetranesi su tre sarebbero degli evasori, ha dato molto fastidio a coloro che invece le tasse le pagano. In realtà, l’approssimazione statistica non tiene conto che le tasse dovute da un solo grande imprenditore potrebbero essere superiori a quelle di cento pensionati messe insieme. Ad ogni modo, non sembra essere questo il punto focale della vicenda.

Quando la città avrebbe perso la capacità di pagare e, soprattutto, far pagare le tasse?

E’ evidente che tutte le responsabilità (politiche, s’intende) non possano essere attribuite soltanto all’ultimo sindaco. Quelle di Felice Errante sono sotto la lente d’ingrandimento a causa dello scioglimento, avvenuto proprio durante la sua amministrazione, ma la salute del comune non andava bene già da prima.

Il periodo dal 2007 al 2011, amministrato invece da Gianni Pompeo, era stato già raccontato dalla cosiddetta “Relazione Dagnino(ce ne siamo occupati qui), un’ispezione del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla pubblica amministrazione della città. Un documento ultimato nel novembre del 2012, ma rimasto per anni nei cassetti di Palazzo Pignatelli, che aveva rivelato già un bel po’ di anomalie. Per esempio, l’obbligo non rispettato di “riduzione delle spese di personale e di contenimento della dimensione retributiva e occupazionale” stabilito dalla legge finanziaria del 2007, l’addetto stampa del sindaco non inscritto all’albo dei giornalisti e lavoratori socialmente utili stabilizzati senza concorso. Ma anche procedure di progressione verticale illegittime e collaborazioni esterne irregolari. Fino alle incompatibilità sul cumulo degli impieghi, le irregolarità sull’erogazione degli incentivi al personale della polizia municipale e l’incremento sulla retribuzione di posizione per il segretario comunale.

Una relazione impietosa, che però avrebbe potuto rappresentare un punto di forza, uno stimolo al cambiamento. Invece niente.

Dal 2012 in poi sono mancati i soldi.

Sono mancati i due milioni e mezzo di euro degli avvisi di accertamento per Tia ed Ici: 5000 accertamenti, quasi tutti inviati dopo il termine di prescrizione, ma regolarmente messi “a bilancio” nelle casse dell’Ente. Entrate rimaste virtuali, tra ricorsi e spese per il recupero coatto.

Sono mancati i soldi della tassa rifiuti, con un’evasione superiore al 50 per cento ed un servizio fatto di cumuli di spazzatura spesso non ritirata, di cassonetti sfondati e di degrado. Ed è difficile capire se il servizio sia stato carente a causa della gente che non paga, oppure se la gente non abbia pagato a causa del servizio carente.

Sono mancati i soldi dei consumi idrici, dei canoni fognari e della depurazione. Anche questo, un settore funestato dall’evasione, dove l’erogazione dell’acqua avviene per due ore al giorno e i problemi di depurazione rischiano di fare più danno delle trivelle.

E’ mancata l’Imu degli alberghi, dove molti imprenditori del settore non sono stati in grado di pagare cifre che in alcuni casi superavano le 100 mila euro. Oltre alla famosa tassa di soggiorno che nel 2015 il comune ha incassato per meno di un quarto.

E’ mancata l’Imu delle case abusive di Triscina, acquisite al patrimonio indisponibile del Comune. L’aveva sottolineato l’allora sindaco Errante già nel 2013 a Rai Uno, in una trasmissione di Giletti: “Il cittadino che abita negli immobili realizzati nella fascia dei 150 metri dal mare, non paga l’Imu”. Siamo  sicuri? E lui: “Un dato certo, senza approssimazione alcuna”.

Ironia della sorte, è mancata pure l’Imu dei fabbricati confiscati alla mafia. Sempre Errante, nel 2016, aveva sottolineato quanto un territorio così “iper-confiscato” risentirebbe molto di questo problema, facendo mancare quelle entrate relative al patrimonio immobiliare presente sul territorio.

Un danno che nel 2015 si sarebbe avvicinato al milione di euro, a causa delle tasse non versate del grande centro distribuzione di contrada Strasatto, del centro commerciale Belicittà e degli altri numerosi beni confiscati a Giuseppe Grigoli, l’imprenditore complice di Matteo Messina Denaro.

 

Lo stesso Errante, già nel 2013 dichiarava che il 90% degli albergatori non aveva pagato la prima rata dell’Imu. Il governo Monti aveva considerato gli alberghi come se fossero state seconde case e i titolari delle strutture turistiche non erano riusciti a pagare quote che andavano da 25 mila euro a 130 mila euro. Tasse che si inserivano in un settore davvero lontano dal grande business, se si considera il calo del fatturato vicino al 35% dal 2012 al 2013. Calo in linea con i dati del comparto in Sicilia, che però fa più male in un contesto dove prima sono nati gli alberghi e poi il problema della valorizzazione del territorio per riempirli di turisti. Problema ancora in via di soluzione, a voler essere ottimisti.

 

Ma il rapporto con le tasse a Castelvetrano è stato sempre burrascoso. Trent’anni fa le amministrazioni comunali erano molto instabili, ed il comune è stato più volte commissariato (anche se non per mafia).

Per esempio, dal 1987 al 1989 la città aveva cambiato tre sindaci (Vito Li Causi, Tommaso Pollina e Francesco Taormina), prima che il commissario Amindore Ambrosetti si insediasse ed inviasse un rapporto all’assessore regionale agli enti locali, alla Corte dei Conti e ai tribunali di Marsala e Trapani. Un rapporto esplosivo, rimasto sepolto dalla polvere per due anni (un po’ meno rispetto alla relazione Dagnino dei nostri giorni) e tirato fuori dopo la bufera giudiziaria del 1992 sullo scandalo delle gare d’appalto dell’Usl, in seguito al quale si dimise in massa il consiglio comunale ed il sindaco (che in quel momento era Gianni Pompeo), evitando lo scioglimento per mafia ed “accogliendo” un altro commissario: Diego D’Amico

Ambrosetti, proprio in occasione della riemersione del suo rapporto, disse: “In venti anni di carriera come ispettore amministrativo, mai ho trovato situazioni di danno erariale e di disamministrazione come nel comune di Castelvetrano”.

Nel suo rapporto accusava principalmente gli amministratori comunali della città che, si legge in un articolo dell’epoca, “ignorando la politica delle entrate tributarie e patrimoniali, hanno portato il Comune nel baratro finanziario, producendo un danno erariale che supera i 100 miliardi (delle vecchie lire, ndr)”.

Ambrosetti aveva trovato l’ente locale totalmente sommerso di debiti, nei confronti delle banche, dell’Enel e di tutti i fornitori di beni e servizi. Oltre ad essersi accorto che gli amministratori non erano in condizioni di pagare gli stipendi al personale se non ricorrendo ad onerose anticipazioni  della banca-tesoriere.

Malgrado questi debiti – si legge in un quotidiano dell’epoca - il Comune non si è mai preoccupato di fare pagare il canone a famiglie ed aziende per l’erogazione del servizio idrico”.

Un danno miliardario – aveva precisato Ambrosetti – malgrado ciò, amministratori e consiglieri iscrivono nel bilancio di previsione una posta attiva quale entrata per canone utenze idriche, falsificando il documento finanziario”.

Ma c’è di più. Secondo una stima prudenziale contenuta in quel rapporto, alla fine degli anni ’80, l’evasione della tassa per l’immondizia, sarebbe ammontata al 50%, con un altro danno erariale di svariati miliardi di lire. Infine un’evasione del 90% avrebbe riguardato la tassa di occupazione del suolo pubblico e quella sulla pubblicità.

In quegli anni il Comune, per smaltire le domande di sanatorie edilizie, aveva assunto sedici tecnici. “Ma nessuno di loro – secondo il rapporto Ambrosetti – ha mai lavorato in tal senso, pur percependo uno stipendio mensile”.

Curioso anche come il commissario avesse definito, sempre nel suo rapporto, l’ufficio ragioneria: “Approssimativo e pasticcione”, dove gli stipendi venivano preparati dal vicecomandante dei vigili urbani, “perché i dipendenti dell’ufficio si reputano incapaci di farlo”.

 

Qualche anno dopo, siamo nel 1993, è toccato al commissario Diego D’Amico tentare di ripianare il deficit delle finanze comunali, annunciando che punterà “ad una decisa e concreta politica delle entrate, riscuotendo da tutti i cittadini le imposte ed i tributi dovuti per legge. Il 1993 – aveva aggiunto – sarà soprattutto l’anno in cui finalmente sarà avviata una corretta politica delle entrate”.

Una delle prime misure fu il regolamento dell’acquedotto comunale, che portava una novità interessante: la concessione edilizia poteva avvenire soltanto col pagamento delle somme imposte per l’allaccio idrico, in modo da impedire ai cittadini di evadere l’imposta dovuta per l’acqua.

Con questo regolamento, si legge in un articolo dell’epoca del Giornale di Sicilia, “viene colmata una lacuna gravissima: quella per cui per decenni a Castelvetrano non si è pagata una lira per l’erogazione di un servizio che pure al comune costa centinaia di milioni (di lire) all’anno”.

 

Dopo 25 anni, sembra essere ripartiti da zero, con una situazione economico-finanziaria del comune molto grave, per altro già emersa nella relazione del ministero dell’Interno sullo scioglimento per mafia, in cui si era sottolineata “la progressiva diminuzione della capacità di riscossione delle entrate comunali e la quasi totale assenza di iniziative volto al contrasto dei fenomeni di evasione tributaria”. Oggi per i castelvetranesi non dovrebbe esserci molto di nuovo, tranne il fatto che ne stiano parlando anche i media nazionali ed internazionali (ciascuno con i loro pregi ed i loro difetti).

La città può cambiare? La società civile riuscirà a scrollarsi di dosso l’allergia persecutoria ai giornalisti e rimboccarsi le maniche per affrancarsi con decisione dalla mafia (che c’è, anche se molti dicono che “la vera mafia è a Roma”), dalla mala politica e dalla mancanza di senso civico?  

 

Egidio Morici



Native | 2024-04-25 09:00:00
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