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20/12/2019 06:00:00

Il caso Saguto. L'ex agente di scorta: "Era un'icona antimafia, poi l'incubo"

C’era la rete di protezione della Saguto. Dopo le prime notizie sulle anomalie della sezione misure prevenzione del Tribunale di Palermo, guidata da Silvana Saguto, si sono mossi alcuni esponenti delle istituzioni per creare un cerchio attorno all’ex magistrato.


Ma c’era anche chi la proteggeva fisicamente, che per spirito di servizio, perchè fedele alla divisa che indossava, andava orgoglioso di fare da scorta a quella che considerava un’icona antimafia.

“È svanito tutto e da sogno è diventato incubo purtroppo”. A parlare è Achille De Martino, che per 12 anni è stato l’angelo custode come scorta del magistrato Silvana Saguto, l’ex presidente delle sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Oggi la Saguto è sotto processo con altre 14 persone tra parenti, colleghi e amici accusate a vario titolo di aver gestito, amministrato e sfruttato i sequestri di prevenzione antimafia a fini personali traendone profitti e favori. Achille, capo scorta degli agenti che proteggevano il magistrato, è stato un testimone chiave nel processo. Personaggio fondamentale per ricostruire alcuni aspetti molto importanti riguardanti proprio la giudice Saguto e il suo stile di vita.

Le Iene lo hanno intervistato. L’ex scorta della Saguto ha ricordato che era orgoglioso di lavorare con quella che definisce “un’icona antimafia”. “Lei ha sempre corso parecchi rischi”.
E proprio questo aspetto è stato centrale in quella “rete di protezione” che uomini e donne delle istituzioni avrebbero teso attorno alla Saguto dopo il servizio de Le Iene, nel 2015, in cui si parlava degli incarichi all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara da parte della Sezione misure di prevenzione guidato dalla Saguto. Perchè dopo quel servizio cominciano a muoversi l’ex Prefetto di Palermo, un colonnello della Dia. E qualche tempo dopo arrivano i primi articoli che elogiano il lavoro della Saguto. Ma viene data anche la notizia che la mafia avrebbe voluto ucciderla.


“Lei era stata minacciata da Brusca in passato. Noi scortavamo un’icona antimafia, era come la Madonna”. Ma quel pericolo, della mafia gelese che avrebbe voluto attentare alla vita della Saguto, non era di quei giorni lì, dice l’ex agente di scorta che seguiva passo passo l’ex magistrato. “Risaliva ad un anno e mezzo prima. Diciamo che l’ha posticipato”.

“Sono stato ingannato come tante persone”. Achille poi parla del rapporto che la Saguto aveva con Cappellano Seminara, “aveva una corsia preferenziale rispetto ad altri”. E i loro rapporto era molto confidenziale. “Una volta le ha regalato una borsa Luis Vuitton, prendevano aperitivi insieme”. Nelle carte dell’inchiesta viene fuori il rapporto di corruzione che ci sarebbe stato. Con gli incarichi di amministratore giudiziario affidati dalla Saguto a Cappellano Seminara che a sua volta dava incarichi di consulenza al marito dell’ex magistrato.

Stesso rapporto c’era con il professore Carmelo Provenzano, coadiutore della sezione presieduta dalla Saguto. A Provenzano e ai familiari, fino anche a cognati e nipoti, venivano elargite consulenza che in due anni sono costate oltre 600 mila euro.
Provenzano per ingraziarsi la Saguto le mandava anche cassette di frutta provenienti dalle aziende sequestrate che gestiva, fragole, arance. O per il figlio chef: lamponi, lime, menta.

La scorta nota lo stile di vita della Saguto. Uno stile di vita di alto rango. La Saguto guadagnava il suo stipendio da magistrato che si aggirava attorno ai 5.500 euro netti mensili, mentre “la principale fonte di reddito del marito risultano essere i compensi corrisposti direttamente o indirettamente proprio da Cappellano Seminara che in 10 anni ammonterebbero a 1,2 milioni di euro” si legge nelle carte.

Achille racconta che dopo l’avviso di garanzia, lo stile di vita della Saguto sarebbe cambiato radicalmente: “Non frequentava più negozi o ristoranti importanti. Il parrucchiere l’ha cambiato. Il figlio che aveva una casa in affitto l’ha dovuta lasciare. La vita di prima era lontana”
La scorta racconta di quelle volte che la Saguto utilizzava il servizio di sicurezza per cose frivole, personali. Chiamava, ad esempio, gli agenti e gli diceva di prendere dei dolci, o la fidanzata del figlio, o un’amica.

Poi sono arrivate le notizie dell’indagine, e quello che per gli agenti di scorta era un onore, in un sogno, servire un magistrato antimafia, è diventato un incubo.
Racconta quella volta in cui il marito della Saguto gli fece capire che aveva bisogno di un telefono sicuro, con cui parlare senza il rischio di essere intercettato. “Io ho preso tempo, ho detto che avrei provveduto, ma ho raccontato tutto alla Finanza. Sono un poliziotto!”.



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