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07/04/2020 15:00:00

"Non abbandonare ma abbandonarsi. Lavorio interiore per ottenere un equilibrio"

 Il periodo storico che stiamo vivendo, dettato dalle condizioni di segregazione e di mobilità ridotta e quindi di isolamento dal resto dei nostri simili con i quali normalmente siamo in contatto, ci induce a delle riflessioni che dovrebbero accompagnarci per il resto della nostra esistenza e farci giungere a una maturazione responsabile e di forte coscientizzazione.


Essere e sentirsi abbandonati è il più grande tormento interiore che possiamo avere nella nostra vita: già da bambini quando qualcuno si distacca da noi sentiamo un vuoto profondo e questa solitudine la esprimiamo spesso con il pianto. In molte circostanze della vita adulta proviamo questa solitudine e andiamo alla ricerca di qualcuno o di qualcosa che possano colmare questa assenza psichica nella quale ci sentiamo avvolti.


Il termine “abbandono” esprime un concetto che ci dovrebbe far pensare alla interruzione dei canali che ci collegano a qualunque fenomeno esterno per un inaridimento implosivo. Nella lingua siciliana si usa il vocabolo “abbiati”, che è appunto l’essere lasciati al proprio destino, da soli, senza direttiva e padrone. La condizione può essere vista come distacco umano e interiore, con conseguenze diverse, ma anche come alienazione dalla creazione e dagli oggetti che aiutano l’uomo a sentirsi in armonia per un’esaltazione del sé (come gli strumenti musicali, o la pittura…).
In psicologia è definito “come un sentimento che è causa di disagio emotivo e, in certi casi, di eventuali disturbi psichici che si possono manifestare attraverso l’angoscia e la solitudine”.


Il verbo abbandonare esprime tre significati diversi, a seconda l’uso: se è transitivo si dice abbandonare qualcuno, in tal caso siamo noi i soggetti a operare, se è intransitivo, noi siamo abbandonati da qualcuno e diveniamo oggetti di rifiuto. Ma esiste un altro termine che è il superamento di ambedue i significati testé espressi e indica l’abbandonarsi, mettersi nelle mani di qualcuno che ha un certo potere su di me e può colmare il vuoto e lo status in cui mi sono trovato, attraverso l’esaltazione del mio io.
Parecchie sono le componenti che inducono a essere nell’abbandono: umane, sociali, psicologiche… Si è accennato alla diversità tra abbandono in età infantile e in età adulta: non sempre sono interconnessi, ma sovente lo sono, dovuto ciò soprattutto ai traumi creatisi in noi nell’età puerile, che possono ritornare nella fase matura.


Le conseguenze dell’abbandono sono parecchie, poiché la poliedricità dell’animo umano può portare a risultati aberranti, perfino alla morte. Tra gli effetti alcuni: la paura, lo smarrimento, lo sconforto, la paralisi, la sfiducia, la vulnerabilità, la malattia… così come si possono avere periodi di apatia in cui sarà difficile gestire emozioni come la rabbia o la tristezza, stati di forte ansia, con il senso di svuotamento.


Chiunque può essere soggetto a un periodo di abbattimento con risultati stravolgenti, esso è, infatti, un momento in cui si sperimenta il profondo vuoto che c’è in ciascuno di noi. Non a caso Dio dice: “Non è bene che l’uomo sia solo (Gn 2, 18), gli fa una compagna perché i due siano “Una sola carne” (Gn 2, 24). E nel Qoelet l’Autore sacro dice: “Guai a chi è solo” (4,10).


Gli Apostoli sperimentano l’abbandono da parte di Gesù e hanno paura durante una tempesta, tanto che lo svegliano e gli dicono: “Maestro, affondiamo! Non te ne importa nulla?... E il vento si fermò” (Mc 4, 38-39).
Anche Gesù sperimenta il tradimento, l’abbandono da parte dei discepoli e lo sconforto. Nel Getsemani, dopo aver cenato si ritira in preghiera, ma “Ha paura ed angoscia… Una tristezza mortale mi opprime… Padre mio, allontana da me questo calice di dolore!” (Mc 14, 33; 34: 36). Sulla croce, prima di morire “con voce forte”: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34) “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!” (Lc 23, 46).


E vedendo la Madre, non volendola lasciare in solitudine, l’affida a Giovanni e questi a Lei, l’umanità a Maria e Maria a tutto il genere umano: “Ecco tuo figlio… Ecco tua Madre…” (Gv 19, 26-27).
Dopo la risurrezione, prima di ascendere al cielo, rivolgendosi ai suoi Gesù li rassicura: “Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi” (Gv 14, 18).
Come guarire dalla ferita dell’abbandono? Intanto si può uscire dall’abbandono umano e sociale, mentre dal fuoco dell’Inferno, come lontananza da Dio e dall’Amore, è impossibile: evitare già da qui e ora mentre il tempo è favorevole, finché si è sulla terra, infatti, l’abbandono non preclude un periodo di resurrezione e di vita. La piaga può essere guarita se si trovano le medicine e il vaccino giusto.


Umanamente, socialmente e psicologicamente si può lavorare sull’autostima, imparando che i nostri limiti sono quelli degli altri, e quindi a sapere perdonare, sperimentando a liberarsi dal passato e da tutto ciò che come zavorra ci tiene avvinghiati ai beni e alle soddisfazioni terrene.
Tra i tre verbi sopra accennati, imparare a non abbandonare e soprattutto ad abbandonarsi agli altri e a Dio deve essere la nostra aspirazione principale, la nostra convivenza terrena, sapendo che senza di Lui e degli altri siamo un nulla. “Se il Signore non costruisce la casa invano si affannano i costruttori” (Salmo 126). Gli altri non sono un potenziale nemico ma compagni inseparabili di viaggio anche se il momento attuale ci esorta a stare lontani per difesa nostra e altrui.
Servirsi delle cose del mondo per rimanere leggeri e volare in alto non appena rompiamo il filo dell’egoismo, e di tutte quelle paure che ci tengono oppressi come in una morsa, ecco il nostro vivere come “pellegrini e forestieri” in attesa di un nuovo bagliore.

Salvatore Agueci



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