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27/07/2020 18:40:00

Chi crea e utilizza un profilo falso su facebook può andare in galera 

Chi realizza un profilo falso su facebook può andare in galera. Per la Cassazione, creare e utilizzare un falso profilo Facebook integra il reato di sostituzione di persona anche se si utilizza un'immagine caricaturale

Creare e poi utilizzato un falso profilo Facebook integra - lo riporta lo Studio Cataldi - il reato di sostituzione di persona previsto e disciplinato dall'art. 494 c.p. Non rileva che nel profilo sia stata impiegata una caricatura della persona offesa. A chiarirlo la sentenza n. 22049/2020 (sotto allegata) della cassazione emessa alla fine della vicenda processuale che segue.

La Corte d'Appello conferma la sentenza di primo grado e condanna l'imputato alla pena condizionalmente sospesa di due mesi e 15 giorni di detenzione per aver offeso la reputazione della persona offesa a mezzo Internet creando falsi profili su Facebook con immagini caricaturali della stessa, per averle inviato messaggi offensivi e attribuito un falso nome. Reati contemplati dall'art. 595 c.p che punisce la "Diffamazione" e dall'art. 494 c.p. che descrive il reato di "Sostituzione di persona".

L'imputato ricorre in Cassazione contestando il contenuto offensivo dei messaggi, perché l'interprete non ha in realtà dimostrato il tenore degli stessi, soprattutto in relazione all'accusa di prostituzione rivolta alla persona offesa. L'imputato precisa inoltre che il post ritenuto offensivo non è attribuibile alla sua persona, in quanto inviato dall'account di un altro soggetto. Assente inoltre la divulgazione del messaggio ad altre persone, necessaria ad integrare il reato di diffamazione, in quanto visibile dal solo destinatario. Sussistente invece l'ingiuria perché, come ribadisce l'imputato, i messaggi sono stati inviati solo alla persona offesa.

Per quanto riguarda invece il reato di sostituzione di persona per l'imputato non sussiste perché è stata utilizzata un'immagine caricaturale differente quindi da quella reale della persona. La Corte di Cassazione, dopo aver vagliato i motivi del ricorrente, con la sentenza n. 22049/2020 dichiara il ricorso inammissibile per le seguenti motivazioni.

Per i giudici della Suprema Corte il primo motivo è inammissibile perché finalizzato a ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda. In relazione al reato di diffamazione poi, che l'imputato ritiene insussistente, la Cassazione precisa come in realtà è "Pacifico che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell'offesa arrecata - con qualsiasi altro mezzo di pubblicità -diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone."

In giudizio è stato inoltre accertato che i profili "Facebook" sono stati creati dall'imputato, attraverso l'utilizzo di due utenze mobili e una fissa a lui intestate e ad un'ulteriore utenza fissa intestata al soggetto presso cui l'imputato lavorava come domestico.

Quanto poi al contenuto dei messaggi, in relazione ai quali l'imputato contesta l'errata traduzione, la Corte rileva come in realtà la persona offesa è stata oggetto di altre offese, come quando è stata definita "pescivendola". Infondata la doglianza sull'insussistenza della divulgazione "essendo stato accertato, anche sulla base dell'acquisizione dei c.d. screenshot, che i messaggi offensivi erano stati divulgati tramite i falsi profili Facebook mediante pubblicazione di post visibili ai c.d. "amici" del profilo, e non mediante invio di messaggi privati."Prova che fa cadere anche la qualificazione della condotta come ingiuria, visto che i messaggi sono stati pubblicati sui profili della sorella e del figlio della persona offesa.

Manifestamente infondato motivo del ricorso relativo al reato di sostituzione di persona "in quanto il reato di sostituzione di persona è integrato da colui che crea ed utilizza un profilo su social network, utilizzando abusivamente l'immagine di una persona del tutto inconsapevole, trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza." Non rileva infatti ai fini dell'integrazione del reato che sia stata utilizzata un'immagine caricaturale della persona offesa, la quale rileva comunque ai fini della diffamazione. Ciò che conta è che si sia verificata l'illegittima sostituzione di persona, attraverso la creazione e il successivo utilizzo di un falso profilo Facebook.



Giudiziaria | 2024-05-31 09:18:00
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