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13/02/2023 06:00:00

Trapani, la mafia, Messina Denaro, la politica. Il caso D'Alì, spiegato / 5

 Continuiamo l'inchiesta a puntate di Tp24 per spiegare le ragioni alla base della condanna per concorso esterno in associazione mafiosa di Antonio D'Alì. Un atto di ricostruzione impegnativo, ma dovuto, dato che spesso il nome dell'ex senatore, in queste settimane, è accostato a quello di Matteo Messina Denaro, e che bisogna approfondire una vicenda complessa, dove sono tante le contraddizioni che emergono. Qui potete leggere l'ultima puntata. 

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Ricordiamo, citando le motivazioni della sentenza d'appello, che l' "'accusa a carico del D'ALÌ era quella di avere contribuito al sostegno di Cosa Nostra mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato presso il Ministero dell'interno, avendo ottenuto sostegno elettorale dai primi anni '90 ed avendo intrattenuto, a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con esponenti di spicco dell'associazione, tra i quali MESSINA DENARO Matteo, VIRGA Vincenzo, PACE Francesco, BIRRITTELLA Antonino e COPPOLA Tommaso".

In tutta questa vicenda Antonino Birrittella è proprio il personaggio chiave. Ed è su di lui che adesso ci concentriamo.

Birrittella è un personaggio molto noto in città, in virtù della sua capacità di instaurare relazioni in ambiti diversi, anche non strettamente legati alle sue attività imprenditoriali (ad esempio,  è stato anche presidente della squadra di calcio trapanese, accrescendo la propria visibilità). Dopo il suo arresto, ha deciso di collaborare con la giustizia, ammettendo i suoi legami con l’organizzazione mafiosa. Sulla sua figura si registrano giudizi contrastanti: tra i suoi concittadini sembrerebbe prevalere un atteggiamento di diffidenza, che chiama in causa le motivazioni alla base del suo «pentimento» e dei vantaggi che ne avrebbe ricavato.

Lui ha più volte dichiarato di non essere un collaboratore di giustizia, di non voler assumere tale qualità, tuttavia qualche vantaggio lo ha avuto. E' infatti accertato che il G.U.P. del Tribunale di Palermo gli ha applicato una pena di un anno e quattro mesi di reclusione per fatti gravissimi di mafia per i quali i suoi correi hanno riportato condanne ultradecennali. Il beneficio l’ha avuto, perché ha avuto una pena sospesa, un anno e quattro mesi, per fatti di mafia.

Dopo quella che i giudici definiscono, infatti, una “lunga carriera criminale”, è stato condannato nel 2000, per il reato di bancarotta fraudolenta, viene arrestato nel 2005 nell’ambito del procedimento “Mafia e Appalti” e condannato in via definitiva nel 2011, per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso  e per il reato di estorsione continuata in concorso nella gestione dei grandi appalti a Trapani: imponeva e riscuoteva il pizzo per conto della famiglia mafiosa per le imprese anche del nord operanti nell’edilizia o nel movimento terra, ed era in contatto con i capi latitanti. Durante le indagini viene anche ripresa la sua attività estorsiva in danno dell'imprenditore Matteo Bucaria (condannato nel Febbraio del 2023 per il tentato omicidio del cognato, ne parliamo qui) che venne costretto, per un appalto relativo alla costruzione di una scuola in Trapani, a versare una tangente su disposizione di Pace dello stesso Birrittella ...


Tanto era sicuro di sé e del suo status che girava con un fucile calibro 12 modificato a canne mozze. Birrittella è stato anche condannato nel 2007 per fatturazioni false di operazioni commerciali inesistenti.

Nel processo D'Alì i giudici si soffermano sull'attendibilità di Birrittella, che in altre occasioni è stata messa molto in discussione. Il "chiamante in correità" così come viene definito, è stato dichiarato inattendibile in primo grado, quando D'Alì è stato assolto, e invece rivalutato in Appello.

Birrittella comincia col dire di aver saputo da Ciccio Pace, capofamiglia di Trapani, e dal boss Vincenzo Virga, nonché da un altro esponente di spicco, Ciccio Genna, che D'Alì già prima del suo ingresso in politica, cioè prima del 1994, era "a disposizione" di Cosa nostra, nella sua attività di banchiere, "garantendo ai sodali un facile accesso al credito".

Per la difesa di D'Alì è "falso e mendace". Sebbene non formalmente affiliato in Cosa nostra ha avuto un ruolo definito "di assoluto rilievo" nel sodalizio. Ha patteggiato una condanna per mafia e per tre estorsioni, e viene riconosciuto il suo ruolo di braccio destro di Francesco Pace, capo della familia mafiosa di Trapani. Ha curato la latitanza di Francesco Milazzo, capomafia di Paceco. Birrittella, in questi suoi lunghi anni di "collaborazione" ha parlato diverse volte. Prima ha detto che c'era un cartello tra Pace e Mannina per il controllo del calcestruzzo, poi ha detto di non sapere nulla di fatti "penalmente rilevanti" tra i due, poi ha detto di non sapere degli accordi tra Pace e Mannina. Per i giudici del tribunale di Palermo che condannano D'Alì si tratta di una "franchezza" che va valutata positivamente.

In primio grado invece Birrittella non era stato ritenuto attendibile. Sul caso della Calcestruzzi Ericina e della rimozione del Prefetto Sodano si era contraddetto più volte, e arriva a dedurre che sia intervenuto D'Alì, per il trasferimento del Prefetto "scomodo", ma solo la terza volta che viene interrogato sul punto, a distanza di anni. Birrittella ha più volte chiarito che Pace non gli aveva mai fatto il nome di D'Alì come referente per le richieste di trasferimento di Sodano, era una sua deduzione. Nella sentenza di condanna di D'Alì, per i giudici,  questa non è più una contraddizione ma una deduzione "ovvia e scontata".

Altra contraddizione: nel 2009, nel processo a carico di Pace e Bartolo Pellegrino, Birritella dice che la mafia trapanese nel 2001 aveva votato "Nuova Sicilia", e non D'Alì. Per i giudici si tratta di un errore di Birrittella: si fa confusione tra elezioni regionali, politiche e comunali, e comunque alle Regionali solo Birrittella aveva fatto votare per interessi personali per il candidato di Nuova Sicilia (e viene da chiedersi che organizzazione criminale è allora, se anche un pezzo grosso come Birrittella vota per chi vuole ...).
Così come è superata, per i magistrati,  un'intercettazione del 2001, in cui Birrittella, parlando di elezioni dice: "Non ci dobbiamo schierare con nessuno". Per giudici, parlava con un soggetto estraneo a Cosa nostra, quindi non poteva rilevare le disposizioni di Pace, e comunque si limitava solo ad invocare prudenza.

Un'altra contraddizione di Birrittella è data da due sue dichiarazioni. A Dicembre 2005, quando comincia a collaborare, dice che il suo riferimento era solo Francesco Pace, e che lui non era organico alla famiglia mafiosa di Trapani. Quindici anni dopo, nel 2019, dice tutt'altro. Ma anche questo nodo viene superato dalla Corte d'Appello: quella di Birrittella era un' "incertezza iniziale", dovuta alla difficile strada verso la dissociazione, era stato appena arrestato, inoltre, e voleva attenuare le sue responsabilità, e poi "non ha conoscenze nè competenze giuridiche".

Nello specifico, nel primo interrogatorio, nel Dicembre 2005, dice: “…no, no, il mio riferimento era soltanto il Pace Francesco, non conosco altri soggetti che partecipano, che hanno fatto altre cose cioè io parlavo solo con il Pace, o meglio era il Pace che veniva sempre a cercare notizie, sapere le cose, io purtroppo mi sono prestato a questo….cioè fondamentalmente non è che sono un organico…”. Mentre alla prima udienza del processo D'Alì in cui viene ascoltato dice: ”… sì, sono stato nell’organico dalla fine degli anni ottanta fino all’atto del mio arresto avvenuto il 24 novembre del 2005….ci può dire con quale famiglia ha avuto rapporti? …sì, la famiglia mafiosa di Trapani. Allora era gestita dal Virga Vincenzo, poi dal figlio Virga Francesco, poi dal figlio Virga Pietro e poi dal Pace in ultimo, quando sono stato tratto in arresto, dal Pace Francesco... ho avuto un rapporto consolidato che risale agli atti ottanta, quando già era la famiglia Minore che capeggiava il mandamento di Trapani ..."
 

Circa i suoi rapporti con D'Alì e il fatto che lo abbia conosciuto quando era interessato a rilevare il Trapani Calcio, per il Tribunale non si capisce per quale ragione Birrittella "avrebbe dovuto mentire". C'è da fidarsi, e basta.

Birrittella, inoltre parla erroneamente di un giro di assegni della Banca Sicula, con D'Alì. La difesa dell'ex senatore ha fatto notare che la Banca Sicula, ai tempi, era chiusa, ma anche questa vicenda per il Tribunale è superata: dopo venti anni Birrittella ha indicato come assegni della Banca Sicula quelli che erano assegni di altro istituto di credito non perché ha mentito, ma per "forza dell'abitudine" (non a mentire, per carità, ma a dire Banca Sicula, a quanto pare ...). D'altronde è lo stesso Tribunale a far notare nelle motivazioni che oggi a Palermo c'è chi ancora parla di Sicilcassa, nonostante la banca sia stata incorporata da un'altra ormai da anni.

Birritella sbaglia indicazioni sull'ubicazione della segreteria politica a Trapani di D'Alì, come sulla sua residenza a Roma, ma sono circostanze che vengono anche queste superate. E' ritenuto attendibile quando racconta dei problemi del Consorzio Trapani Turismo (sulla cui vicenda però il Tribunale scrive che non c'è nulla di penalmente rilevante), sulla costruzione della caserma dei Carabinieri a San Vito Lo Capo, e sempre sulle vicende della Calcestruzzi Ericina.

C'è poi un appunto procedurale, che fa fatto. La difesa di D'Alì contesta infatti l'audizione "a rate" ed in momenti diversi di Birrittella. In particolare, è stato riascoltato dopo la prima sentenza di assoluzione di D'Alì. Fa notare la difesa dell'ex senatore che "il Procuratore generale decide di sentirlo nuovamente sui medesimi fatti, LEGGENDOGLI i passi della sentenza del GIP relativi alla sua inattendibilità, chiedendogli o suggerendogli di apportare delle modifiche, degli aggiustamenti proprio in relazione a quei punti". Questo aspetto è anche citato nel ricorso in Cassazione della difesa, poi respinto, perchè secondo i legali di D'Alì: "Queste dichiarazioni di Birrittella, solo nel 2019 rivedute e corrette, hanno costituito e costituiscono tutt’oggi l’unica fonte d’accusa delle specifiche contestate condotte illecite mosse al D’Alì Antonio, quale concorrente esterno in associazione mafiosa".