Una provocazione paradossale che smargina la determinazione delle linee finite in un’indeterminazione di profondità da esplorare. Un tracciato che, tuttavia, lascia molti spiragli per agganciare la nuova esposizione di Toti al percorso già maturato e sperimentato in altre opere e mostre (singole e collettive).
E per non rimanere in arie rarefatte, puntiamo lo sguardo (“i ritorni della memoria” ci aiutano) al preferenziale e permanente (storico) tema con varianti, campo d’indagine della nostra pittrice, il volto della donna. Il volto femminile del desiderio e dell’attesa con lo sguardo onirico-pensante tra fissità e stupore, e immerso in un orizzonte di eventi attesi oltre frontiera, i luoghi della tensione oltre misura per gli stessi sensi e la ragione. A dircelo, ci sembra, sono le stesse linee nette piegate alla geometria dell’arte come armonia classica e moderna ancora in vita, e la stessa memoria “liberty” che scivola recuperata (vedere in genere le capigliature, le curve svettanti e il viticcio che materializza lo sguardo di un occhio di “Alba al tramonto” come un’iconizzazione allegorizzante) dai pennelli di Toti Lombardo (il “liberty” ha caratterizzato un certo periodo della sua sperimentazione).
A confermarlo un immaginario umanistico che ha alimentato la formazione culturale della Lombardo, e una immaginazione produttiva che è sempre in lotta con il “caos” del reale che chiama ciascuno, diversamente, a farvi i conti. Il reale come possibilità cui il soggetto dell’artefacere cerca di dare una forma in ogni modo percepibile. Una visibilità godibile mai esauribile, tormento e godimento degli artisti, che sfida specialmente gli inquieti al dato e consolidato. La forma. Lo schema che organizza il desiderio della cattura attorno al sintomo che si processa per sentieri non descrittivi.
E la forma pittorica di Toti che qui, concretizzata nella bellezza logico-estetica delle proporzioni, connotante tutti i quadri esposti, e nella sua personalissima miscela cromatica che li individua – densa e netta nei confini di contatto fino a presentarsi come una pluralità di “voci” lineari e non lineari –, trova uno stile come un gesto che si muove con il linguaggio dell’‘estraniamento’, proprio dell’arte, muovendo, simultaneamente all’astrazione, l’attenzione del passante che sosta catturata dalla configurazione delle opere esposte.
Non vogliamo rendere merito alla nostra pittrice legandone il poiein pittorico a qualche “ismo” di diffusa accademia citazionistica (astrattismo geometrico e/o lirico o figurale-surreale), quanto alla capacità della stessa di giostrare con finezza gli elementi del pittore, il linguaggio dell’arte e delle sue potenzialità. Il linguaggio che sa, comunque, di essere sempre eversivo e irriducibile alle quotidiane comunicazioni visive.
Obbligo dell’artista (e Toti ne dà prova) è strappare ciò che non parla e si nasconde, e tuttavia pulsa anche come un “rumore” fonocromatico di fondo come i “i fotoni fossili” sparsi per l’universo in espansione. Il “rumore” di fondo che, in sintonia asimmetrica con la vita che ci insegue, fluttua sia nella mente dell’artista, sia nel reale storico e materiale/ideale che si è, e che, per esempio, come nel caso di alcuni quadri di Toti – “ La donna del faro”, “Quando la luce la sfiora”, “Alba al tramonto” –, si dipinge presentando e rappresentandosi come “luce”, mentre i suoi grani impacchettati in onde cromotatico-corpuscolari investono lo spettatore, la sua fantasia traballante e in cerca di agganci. Possono essere gli agganci che le onde pittoriche, in circolare causalità e casualità, legano e rimandano il volto della donna, e soprattutto il suo “occhio” straniero e straniato, ai “ritorni della memoria” che sfoglia (possibilmente) l’archivio della cultura metafisica (“Presenza Metafisica”) o il simbolismo mitico della sirena (“Una strana sirena”) o l’eros che nasce dal mare (“ Venere di Pantelleria”) o la donna come terra-madre (“Mia madre natura”) della cultura mediterranea o come l’ossimoro stilistico di “Alba al tramonto”: il tramonto che si fa albore e alba/nascita. Una simulazione che presentifica, sempre nella costante dell’occhio alieno della donna, la temporalizzazione del ciclo vitale e luminoso tra un’esistenza che va al “tramonto” (la figura di donna matura) e quella di un piccolo che impara a camminare tenuto per la mano adulta al declinare dei suoi giorni.
Certo le rotondità di queste donne-madre-terra-luce non sono quelle che siamo abituati a vedere nei libri di storia dell’arte e dei musei dell’arte antica.
Certo è, infatti, però che i quadri di questa ultima promessa di Toti sono l’esempio di come ancora – in tempi non facili per la ricerca e l’espressione artistica sottratte all’utilità – l’“inoperosità” della poesia artistica e la sua bellezza estetica possano ancora presentarsi e rappresentarsi come astrazione, e tuttavia forme riconoscibili e corporeità determinata.
Non inganni l’astrazione geometrica della pittura di Toti. Porta verso un’alterità o una differenza dell’altrove “alieno”, mentre le radici delle nuvole fantasmatiche oscillano tra “terra” e “cielo” come un’istanza irreprimibile dell’essere artista Toti. Un bi-sogno, ci pare, di comunicare (mettere in-comune il godimento della costruzione) le pieghe del suo pensare-rappresentare coniugando logica metaforica e proporzione logico-matematica parallelamente stendendole al sole delle sue accattivanti tele come sentieri complementari.
E ora, un solo pensiero di riferimento, a proposito delle forme pure e inoperose dell’astrazione geometrico-matematica della nostra pittrice, cui è dedicata un’intera ala della mostra (“astrazione n. 1, astrazione n. 2, astrazione n. 3…). Un pensiero preso a prestito per la sua ricerca: “La matematica pura è, a modo suo, la poesia delle idee logiche” (A. Einstein): così è per la astrazione pittorica di Toti pittrice. Un urto simbolico che, pur nelle deformazioni proprie del linguaggio dell’arte, sa salvaguardare la poesia nata dall’incontro del suo immaginario con il reale e offerta allo sguardo con la pittura di “i ritorni della memoria”.
Antonino Contiliano