Leonardo Vitale pazzo? No, pentito
Assolutamente “esemplare” l’apprendistato mafioso gestito e valutato dallo zio Giovan Battista “Titta” Vitale, rappresentante della “famiglia” di Altarello di Baida. Leonardo, ancora giovanissimo, fu sottoposto a numerose prove di crudeltà e di violenza fino ad abbattere un cavallo. Lo zio era felice e capiva c
he Leonardo sarebbe presto diventato un “uomo d’onore”, ma prima doveva dimostrare di sapere ammazzare un uomo.
Lo zio gli indicò la vittima e lui ne studiò i movimenti, individuò il luogo ed il momento più adatti e superò alla grande anche questa prova. Ed ecco l’affiliazione secondo il rito del dito punto con una spina di arancio amaro, dell’immagine sacra che brucia mentre lui pronuncia la formula del giuramento, del bacio in bocca di tutti i presenti.
Da “uomo d’onore” commise altri delitti, ammazzò altre persone, ma quell’infinito ed improvviso bruciore esplosivo provocato dalla lupara, improvviso ed infinito prese lui e Leonardo Vitale si pentì profondamente.
Era la primavera del 1973 e varcò la soglia di un commissariato per raccontare i suoi omicidi e poi quelli commessi dai suoi “fratelli” e poi ancora per liberarsi di ogni peso e di ogni rimorso, per chiedere perdono a Dio ed agli uomini riferì nomi e cognomi dei capi e dei membri delle “famiglie” di Cosa Nostra di Palermo e provincia.
Lo presero per pazzo più che per pentito: di Cosa Nostra non se ne sapeva tanto e quello che aveva raccontato Leonardo Vitale era proprio troppo.
Lo rinchiusero in manicomio per una decina d’anni dalle parti di Messina, poi uscì dal manicomio e quella mattina del 2 dicembre 1982, appena fuori dalla chiesa, sentì, improvviso ed infinito, il bruciore esplosivo della lupara dei “fratelli” traditi di Altarello di Baida.
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