Quantcast
×
 
 
23/01/2012 08:51:07

Dal pastore valdese: Discepolato è servizio

Con due pennellate brevi ed incisive, Gesù dipinge i tratti salienti della loro figura, ricorrendo, come ama fare, ad un’ironia sottile: li definisce, infatti, come coloro che «si ritengono» potenti ma che, in verità, altro non sono che prepotenti, uomini pieni di boria e megalomani, come si potrebbe tradurre efficacemente, in maniera letterale, il termine riportato nel testo.
Questi uomini costituiscono l’esempio da cui Gesù chiama i suoi, e dunque anche noi, a discostarsi; eppure, a ben guardare, è proprio quello che noi chiese, con estrema diligenza, abbiamo a più riprese seguito: del potere, infatti, siamo state e siamo tuttora più alleate che avversarie, più prolungamento che critica. Quel che dovremmo tornare ad essere e che da tempo, ormai, non siamo più, è comunità profetiche, che del potere e dei suoi abusi denunciano gli interessi, contrastano il dilagare, criticano la logica. Ancor più in questa nostra Sicilia, dove il potere, anche quello illegale, può essere esercitato soltanto con la complicità del silenzio o dell’ossequio con cui troppo spesso, ancora, rispondiamo al sopruso ed assecondiamo i favori chiesti come quelli resi. Così va il mondo, sostengono alcuni: si tratta soltanto di adeguarvisi, per non rimanere tagliati fuori. Sì, non c’è dubbio: così va il mondo. «Ma non così tra voi», soggiunge Gesù: e la sua voce ci sfiora come un sussurro, una carezza.
Tra noi la logica che regola il comportamento e le relazioni dev’essere tutt’altra: dev’essere quella apparentemente illogica del servizio.
Il termine specifico è diaconia: e, non a caso, quello del diacono è il ministero che dovrebbe non soltanto precedere il pastorato e il sacerdozio, ma accompagnarlo e caratterizzarlo. Tutti noi pastori e sacerdoti, difatti, siamo ministri, ovvero, propriamente, servitori e, dunque, diaconi.

Le parole sono scrigni e dovremmo non perdere mai l’abitudine di aprirle delicatamente per vedere ciò che custodiscono e quanto ci riservano. Diacono è termine che viene da un vocabolo greco che, letteralmente, potremmo tradurre come: «passare attraverso la polvere». Il diacono è colei, colui che è disposto a compiere questo attraversamento, nei due sensi in cui l’ha compiuto anche Gesù, che sul sentiero impolverato della fede ci chiama a seguirlo. In un primo senso, la chiamata al servizio riguarda la disponibilità richiesta a percorrere strade meno battute, talvolta persino deserte, certo non spianate: impolverati sono i cammini dell’autenticità, quelli che siamo chiamati a percorrere e, talvolta, persino ad inaugurare, coniugando, all’umiltà, l’audacia di cui come viandanti dobbiamo disporre. Gesù ha fatto proprio questo: nella fedeltà a Dio ha osato sentieri nuovi, che ci invita a solcare insieme con lui, perché fede significhi sempre, anche, rinnovamento. Ma per rinnovare e rinnovarci dobbiamo anche essere disposti ad impolverarci, perché ci inoltriamo su vie non ancora battute: l’unità dei cristiani è una di queste vie, scoscesa, piena di buche, ma infinitamente bella da percorrere e da osare insieme.
In un secondo senso, la chiamata al servizio costituisce un richiamo alla nostra provvisorietà: noi siamo polvere chiamata a passare in mezzo alla polvere. Nulla di ciò che è profondamente umano ha una consistenza diversa da quella evanescente della polvere: ma è da quest’inconsistenza che Dio ci ha tratti e ci ha plasmate; ed è in questa stessa evanescenza che ci vuole capaci di riplasmarci, ogni volta di nuovo, attraverso l’incontro con l’altro, con l’altra, di cui siamo servitori e non padroni, fratelli di precarietà e di inquietudine, compagne di cammino e di ricerca lungo il sentiero che ci conduce, insieme, sino all’abbraccio col Dio di Gesù.      

past. Alessandro Esposito - www.chiesavaldesetrapani.com