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06/04/2012 14:37:03

Scrive Michele Angelo, sulle elezioni amministrative del 6 e 7 Maggio 2012

Senza andare molto lontano nel tempo e ricordare che già nelle comunità primitive si affidava la direzione ed il comando ad un capo tribù, l’esigenza di eleggere un amministratore rappresenta per qualsiasi aggregato sociale una necessità imperativa per l’attuazione dei programmi e per il perseguimento degli obiettivi ritenuti primari in un dato momento storico ed a volte vitali per il mantenimento dello stesso assetto sociale.
Qualsiasi aggregato sociale, infatti, oltre a necessitare sin dalle sue origini di un ordinamento e di regole, di cui i romani affermavano la immanenza con la locuzione latina “ubi societas ibi ius” (dove vi è società vi è diritto) e la “societas” poteva essere composta anche da due soli soggetti, ha bisogno anche di un’autorità locale preposta al governo di tale aggregato, che ne riassuma la rappresentanza e che nel tempo è stata espressione, prima, di un potere assoluto, poi monarchico ed ai giorni nostri democratico, scelto, cioè, dalla collettività che è chiamato ad amministrare.
E’ costui l’amministratore-politico, un soggetto chiamato dalla comunità, attraverso appunto l’elezione, a gestire il patrimonio territoriale dell’aggregato sociale che lo ha eletto, che nella storia ha assunto diverse denominazioni e che ora, nelle Amministrazioni locali, è identificato con il nome di Sindaco.
Il sindaco è l'organo monocratico posto al vertice dell'ente territoriale locale di base che nei vari paesi assume denominazioni diverse: comune, municipalità, etc.
Il compito ad esso riservato, come, del resto, quello che compete a chi è chiamato al governo di organizzazioni complesse, non ripaga quasi mai l’impegno necessario che richiede il suo svolgimento.
E’ necessario, pertanto, che chi si propone per tale carica sia portatore di passione per il bene della collettività che deve amministrare, il soddisfacimento della quale, da solo, può giustificare l’accollo del gap negativo che in termini ragioneristici lo attende in una società strutturata ideologicamente, culturalmente ed economicamente, come è la nostra.
Sì, di passione si deve trattare, e di passione finalizzata alla realizzazione di progetti e programmi il più possibile condivisi, gratificanti e rispondenti al bene comune.
In tale contesto, quindi, l’Amministratore locale, a qualsiasi corrente politica appartenga, deve mettere da parte gli ideologismi ed i ricatti espressi dalle loro mentite spoglie e privilegiare l’attuazione del programma condiviso da chi ha creduto nella possibilità realizzativa dello stesso.
Il governo della cosa pubblica, insomma, non può continuare ad essere paralizzato dagli interessi di potere del partito.
Governare bene significa oggi staccarsi dagli interessi di parte, privilegiando in radice il perseguimento del benessere di tutta la comunità amministrata.
Oggi, soprattutto dopo l’avvento del Governo tecnico, si va sempre più materializzando la consapevolezza che il governo della cosa pubblica ha bisogno più di manager che di politici, che vi è bisogno più di pragmatismo che di idealismo, ovvero, di realismo e concretezza.
Non appare più fondamentale, oggi, crogiolarsi con l’ideologia, ma è necessario, nel governo della cosa pubblica, riuscire a portare a casa della collettività qualcosa di tangibile in termini di valore aggiunto, scrollandosi dalla zavorra imbrigliante, ad ogni piè sospinto, della politica tout-court.
Appare sempre più evidente, oggi, che il comune sentire di una società accerchiata da una moltitudine di bisogni, non tollera più un amministratore preda dell’agone politico, ma chiede fatti concreti per il superamento delle difficoltà che la attanagliano.
Il pragmatismo deve essere la chiave di volta dell’Amministratore pubblico, il quale deve privilegiare il soddisfacimento dell’interesse generale della collettività.
Quello di cui si sente bisogno, oggi, è, infatti, l’assoluto conseguimento di risultati in termini di sviluppo, di crescita civile, sociale, economica e di avanzamento culturale della popolazione, premessa imprescindibile per la creazione di posti di lavoro: obiettivi che, generalmente posti da tutte le correnti politiche del passato, hanno finito, quasi sempre, per naufragare, “sic et simpliciter”, nella nave della discordia e delle beghe di potere.
Si avverte, così, l’esigenza di un’amministrazione che, una volta individuato un programma, condiviso dal consenso espresso con il voto degli amministrati, si faccia carico della sua attuazione con piena determinazione ed autonomia, assumendosene la responsabilità, e che la politica “stricto sensu” si faccia da parte, assumendo, semmai, un compito di controllo sul rispetto di quanto deliberato a monte.
Bisogna lavorare, insomma, questo è l’avviso di chi scrive, per rendere innocue le stratificazioni paralizzanti.
Gran parte della popolazione, grazie alla crescita culturale che la contraddistingue rispetto al passato, percepisce oggi con maggiore sensibilità l’operato di chi governa, e, pertanto, aspira sempre più a ricevere dal politico di turno un contributo positivo alla crescita del paese.
E’ di questa aspirazione che, a mio avviso, bisognerà tener conto, incentivando sempre più il coinvolgimento delle moltitudini nella presa di coscienza della realtà in cui vivono, con la promozione continua di incontri, di conferenze, di confronti sui temi più sensibili del momento, viatico per la crescita culturale, sociale, economica e morale dell’individuo e, quindi, della collettività.
Coinvolgere il cittadino sull’azione di governo, avvicinarlo al palazzo, dargli la possibilità di esprimersi in propositivi comitati o sottocomitati di studio, significa già produrre una crescita civile e sociale, non incidendo sulla scarsezza delle risorse finanziarie pubbliche di cui gli enti locali sono notoriamente afflitti.
In questa prospettiva di attenzione concreta al benessere culturale della società ed all’elevazione morale della stessa, sta, a mio parere, la chiave di volta per il perseguimento di quel rinnovamento, a tutto tondo, di cui si avverte ormai un‘imprescindibile necessità, come premessa di un ordinato sviluppo economico e sociale.
Oggi, la difesa strenua dei principi ideali, viene sempre più percepita come zavorra, freno all’efficientismo e al progresso, il perseguimento dei quali diviene sempre più indispensabile per stare al passo di una economia che si avvia a passi veloci ad essere costituita da un unico mercato.
Occorre, pertanto, decisionismo all’interno di un contesto condiviso, che solo mettendo da parte gli orpelli frenanti può contribuire, in un’ottica dinamica di cambiamento sostanziale del modo di amministrare, ad innescare un volano di sviluppo e di crescita sociale oltre che economica.
E’ anche per l’avanzare di questo sempre più sentito interesse delle collettività che cresce l’esigenza di portare avanti l’idea di un “bilancio di mandato”, del redde rationem del governatore di turno, il quale è necessario che sia valutato, da parte dei consociati, come unico responsabile dell’attuazione del programma per il quale è stato votato, sulla base dell’analisi dei costi-benefici della sua gestione per la collettività.
E tale esigenza si va manifestando sempre più imperiosa, in una Amministrazione che disponendo di risorse limitate, peraltro sottoposte a vincoli di rispetto del patto di stabilità, per conoscere preventivamente, nella predisposizione dei programmi su cui si chiede consenso all’atto delle elezioni, la quantità di risorse disponibili su cui potere contare, che consentano una programmazione seria e la relativa realizzazione, in modo da evitare di fare promesse di marinaio e di ricadere, conseguentemente, nella delusione consueta della popolazione.

Michele Angelo Maggio

Roma