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15/11/2012 08:15:50

Il corpo e l’immagine

In Gesù nessun ruolo è affidato all’immagine. Non ci sono suoi ritratti. Fin dall’antichità l’immagine è legata al potere. Sulla moneta del tributo vi è il ritratto di Cesare. L’immagine è l’espediente per rendere presente chi in effetti non è lì. Statue e insegne avevano questo scopo. Ciò vale anche per l’ostensione del potente davanti alle folle. Anche Gesù vi fu sottoposto nell’«ecce homo»; ma ciò avvenne in maniera paradossale. Egli è soggetto ai riti del potere come colui che li subisce, non come chi li sfrutta. Il corpo è il luogo della relazione diretta. Di contro, un esteso potere si afferma, di solito, attraverso rapporti indiretti. Chi lo esercita deve essere presente al di là dei confini legati alle relazioni interpersonali. Per questo i capi delle nazioni debbono mostrarsi e dove non arriva la loro immagine immediata si ricorre a dei sostituti. Si può ipotizzare che proprio la disgiunzione tra presenza e immagine costituisca una delle ragioni per cui i vangeli, che pur tanto parlano della corporeità di Gesù, non riportano alcuna sua descrizione fisica. Nulla sappiamo della sua statura, dei suoi occhi, dei suoi capelli, del suo incedere, del tono della sua voce; vale a dire dei tratti caratterizzanti le biografie classiche. I vangeli raccontano solo fatti e trasmettono detti. I riferimenti al corpo sono in funzione di queste situazioni. Non ci sono ritratti; forse ci sono immagini, ma solo in situazioni «altre». Le apparizioni del Risorto, che tanto peso hanno avuto nell’elaborazione della fede primitiva, rasentano infatti la sfera dell’immagine. Forse per questo sono state considerate come una forma solo temporanea di una presenza che poi va testimoniata attraverso la parola. Tuttavia sappiamo quanto sia senza uguali il patrimonio iconografico riguardo alla figura di Gesù. Ovunque ci imbattiamo in suoi ritratti. Di contro nei vangeli, la sua è una presenza priva di immagini. È così perché si descrive una relazione corporea diretta; è così perché c’è la promessa di un «esserci» non visibile: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt  18,20). Lo stesso vale per il pane e per il vino. Sono forme di presenza invisibili, silenti e spoglie di potere. Di contro, il potere legittimo è di solito connesso a una presenza manifesta e indiretta, fatta di «segni» e «insegne». Gesù, quando fu interpellato se fosse lecito o meno pagare il tributo a Cesare, si fece dare la moneta (lui in proprio ne era sprovvisto) e si fece dire di chi era l’immagine impressa su di essa. Anche quando non raffigurano imperatori, i soldi sono sempre immagini del potere (non limitato a quello di acquisto). Sono portavalori universali perché astratti e convenzionali. In se stessi non hanno alcun valore d’uso perché tutto in essi si risolve nel valore di scambio. Per questo il denaro può essere a sua volta sostituito da forme ancora più virtuali di rappresentazione, senza che ciò ne muti l’efficacia. L’affinità profonda tra civiltà (o barbarie) dell’immagine e quella del denaro lo conferma ogni giorno di più. Come tutti sanno, oggi anche il corpo viene subordinato sempre più all’immagine. La sua peculiarità più diffusa sta ormai nell’apparire. Ciò è molto affine all’universale prevalere del «denaro» sulle «cose» proprio dei nostri tempi. Si parla ormai solo di conti, bilanci, deficit, debiti, tasse e di vite schiacciate o auto-estinte a causa dell’eccedenza del mondo dell’immagine costituito dal denaro rispetto a quello del corpo e della relazione. Tutto appare subordinato al denaro e quando esso o i suoi sostituti mancano è come se tutto venisse meno.   Violairis - 13 novembre 2012 - da www.chiesavaldesetrapani.com