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10/04/2013 04:05:57

Nuovo pericolo trivelle nel mare di Sicilia. Ecco chi cerca il petrolio vicino la nostra costa

I permessi di ricerca erano stati sospesi, il Parlamento aveva posto limiti più stringenti per le richieste. Era il 2010. Tre anni dopo, il rumore delle trivelle torna a farsi sentire, alla luce di due provvedimenti del governo.
Il primo è il decreto “CrescItalia” del Governo Monti, che da un lato estende a tutta la costa italiana la zona off limit delle 12 miglia marine per le nuove richieste di estrazione di idrocarburi a mare, ma dall’altro lato fa anche ripartire tutti i procedimenti per la ricerca e l’ estrazione di petrolio che erano stati bloccati nel giugno del 2010 dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico e le polemiche che ne erano seguite anche in Italia. Inoltre, la fascia off-limits delle 12 miglia parte ora dalle linee di costa (cioè dalla battigia) e non come era stabilito precedentemente dalle linee di base (linee che includono golfi e insenature).

Di qualche giorno fa è invece un decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 Marzo, che estende l’area per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi al largo delle coste della Sicilia . La zona di “ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare” è chiamata zona “C”, e nei fatti, viene raddoppiata, perchè comprende tutto il mare intorno alla Sicilia, le Egadi, Pantelleria, Selinunte e Mazara del Vallo, dove è di stanza la flotta peschereccia più grande d’Italia. E ancora, una vasta porzione ad est del Mar Ionio e a sud est del Canale di Sicilia. I soggetti interessati hanno adesso tre mesi di tempo per presentare le loro domande.

Si prevede che le richieste saranno tante, perchè con l’esaurimento dei giacimenti di petrolio più facilmente ed economicamente sfruttabili, le compagnie petrolifere hanno iniziato a guardare con interesse ai giacimenti prima considerati scarsi e di difficile accesso, tra cui quelli nelle acque profonde del Mediterraneo.
Solo nel canale di Sicilia ci sono già - ancora prima della pubblicazione del nuovo decreto - 29 richieste depositate per trivellazioni in mare (quasi la metà di quelle di tutta Italia), undici delle quali già approvate.
I permessi per l’estrazione di idrocarburi già concessi, invece, sono tre, per un totale di quattro piattaforme attive al largo delle coste siciliane, e tre sono le concessioni di coltivazione in via di valutazione.
E’ per questo che Greenpeace ha condotto in Sicilia una campagna dal titolo “U mare un si spirtusa” (nel dialetto siciliano: “Il mare non si buca”), raccogliendo le adesioni di molti amministratori locali e distribuendo un rapporto che punta il dito anche contro la convenienza economia delle trivellazioni. “Le imposte dirette sulla produzione per gli idrocarburi estratti in mare sono solo del quattro per cento - scrive Greenpeace - E non sono dovute per le prime 50mila tonnellate di petrolio prodotte ogni anno”. Secondo i calcoli dell’associazione, per le quattro piattaforme già attive in Sicilia – a Gela e Scicli – nelle casse dello Stato e della Regione siciliana sono entrati appena 48.826 euro.
A Sciacca il comitato “Stoppa la piattaforma”, che nel 2010 aveva vinto la sua battaglia contro la Northern Petroleum, che aveva chiesto, con il permesso D29, di perforare il mare entro le 12 miglia dalla costa, deve fare i conti con la deroga del decreto CrescItalia. Stessa cosa per un altro permesso, D347, che riguarda la costa che va da Sciacca ad Agrigento. Northern Petroleum possiede ben 7 istanze di ricerca, ne ha presentate altre 9. La Shell in tutto il Canale di Sicilia ha permessi di ricerca per oltre 4200 chilometri quadrati. Altre richieste sono state presentate da Eni, Edison, Transunion Petroleum. Il tutto nonostante la Convenzione di Barcellona - un accordo internazionale a cui aderisce anche l’Italia - preveda espressamente la tutela del Canale di Sicilia come “area prioritaria per garantire un futuro all’ecosistema marino del Mediterraneo”.
E’ dovuta intervenire invece l’Assemblea Regionale Siciliana, dopo la protesta di amministratori e cittadini, per bloccare le autorizzazioni alla ricerca di idrocarburi nell’entroterra dell’isola. I siti interessati erano la Valle del Belice e la Val di Noto (Patrimonio dell’Umanità Unesco). Nel Belice, in particolare, la società Enel Longanesi Developments srl, costola del gruppo Enel Trade, era stata autorizzata ad effettuare una ricerca idrocarburi, petrolio e gas naturale in un’area di 680 chilometri quadrati di territorio tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento.