Quantcast
×
 
 
24/05/2013 08:14:56

Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi

La parola ebraica ashrei, tradotta correntemente con beato, si traduce meno proditoriamente con in marcia come propone il grandissimo traduttore delle scritture André Chouraqui. È questa consapevolezza che ha fatto di don Gallo un profeta e non nell’accezione volgare e stereotipata con cui spesso si vuole sminuire o sbeffeggiare il ruolo di questa figura, ma nel senso più profondo di uomo che ha incarnato la verità dei grandi pensieri ripetutamente e capziosamente pervertiti dai funzionari del potere, siano essi i soloni del regno terreno, siano essi i chierici del cosiddetto regno celeste. Questa è la ragione per la quale il profeta trasmette la parola del divino e il divino del monoteismo ha eletto come suo popolo lo schiavo e lo straniero, l’esule, lo sbandato, il fuoriuscito, il diverso, il meticcio avventizio perché tali erano gli ebrei e non un popolo etnicamente omogeneo come oggi vorrebbe uno sconcio delirio nazionalista.
Nella sua fondamentale opera «Se non ora adesso» (pubblicata da Chiarelettere) che deve essere letta da chiunque voglia capire le parole illuminate di questo prete da marciapiede, Gallo ci ha ricordato che l’etica è più importante della fede, come il filosofo e grande pensatore dell’ebraismo Emmanuel Lévinas suggerisce nel suo saggio «Amare la Torah più di Dio». Come già il profeta d’Israele Isaia dichiara con parole infiammate, il Santo Benedetto stesso chiede agli uomini di praticare etica e giustizia perché disprezza la fede vuota e ipocrita dei baciapile: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi.
Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco... Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». Il profeta autentico non predice il futuro, non è una vox clamans nel deserto, è l’appassionata coscienza critica di una gente, di una comunità, di un’intera società, ed è questa coscienza che si incide nella prole perché le parole diventino fatti, azioni militanti ad ogni livello della relazione interumana e per riconfluire in parole ancora più gravide di quella coscienza trasformatrice.
Questo è a mio parere il senso che don Gallo attribuisce al Primato della Coscienza espresso mirabilmente nel documento conciliare «Nostra Aetate» uscito dal Concilio Vaticano Secondo voluto da Giovanni XXIII, il «papa buono», ma buono perché giusto.
Con il poderoso strumento della sua coscienza cristiana, antifascista, critica, militante, laica ed evangelicamente rivoluzionaria, il prete cattolico Gallo, è riuscito a confrontarsi con i temi socialmente più urgenti ed eticamente più scabrosi smascherando i moralismi, le rigidità dottrinarie, le ipocrisie che maldestramente travestono le intolleranze per indicare il cammino forte della fragilità umana come via per la liberazione.
Quest’ultima e intima verità dell’uomo, Andrea Gallo la sapeva, la sentiva e la riconosceva nelle parole più impegnative delle scritture perché istituiscono l’umanesimo monoteista ma anche l’umanesimo tout court nella sua dirompente radicalità: «Ama il prossimo tuo come te stesso, ama lo straniero come te stesso, ciò che fai allo straniero lo fai a Me». La passione per l’uomo, per la vita e per l’accoglienza dell’altro, si sono così coniugate in questo specialissimo uomo di fede con un folgorante humor che dissìpa ogni esemplarità predicatoria per aprire la porta del dialogo fra pari a chiunque voglia entrare, cristiano o mussulmano, ebreo o buddista, credente o ateo.
In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così
come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore. Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento.
Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.

 

Moni Ovadia - in “il manifesto” del 23 maggio 2013