Cominciano sempre con gli occhi. A colpirci. A darci le notizie. La vista, per prima. La meraviglia: guarda lì, cos’è successo. Mamma mia. Le riflessioni arrivano dopo. Prima, sono le immagini. Che devono essere scioccanti, se no uno fa qualcos’altro, si distrae. Allora ecco i corpi dei morti distesi nell’hangar, i corpi dei vivi avvolti da questi teli color oro e argento che li fanno sembrare dei Re Magi spaventati alla ricerca di un Cristo qualsiasi. Il mare visto dall’elicottero. Le immagini dei barconi rovesciati o in porto per miracolo. Le immagini delle lacrime sul volto di chi ha visto davvero l’orrore e piange. E i nostri occhi guardano quegli occhi piangere e si commuovono. Cominciano sempre con gli occhi, a raccontarci queste tragedie qua.
C’è sempre, ad un certo punto, quando meno te l’aspetti, un’onda che arriva. E sommerge tutto. E come un’onda ci ha sommersi la tragedia delle centinaia di uomini, donne, bambini, in fuga dall’inferno dei loro Paesi, e morti nelle acque di Lampedusa. Un morto al giorno, due, tre, non sono notizia, fanno solo statistica. 300 morti in una sola alba sono un ecatombe.
L’onda ci ha trovati impreparati. Cosa c’era un attimo prima? La solita paccottiglia: la vergogna di Berlusconi, il governo che sopravvive, le divisioni del Pdl, cosa ha detto Renzi?, lo spread. Sia chiaro, è quello che ritroveremo un attimo dopo, quando il lutto sarà elaborato a questa velocità contemporanea che ormai neanche notiamo più. Già da lunedì, vedrete, lo sappiamo, i morti in mare diventeranno una pagina in cronaca, un pezzo del solito Erri De Luca, una polemica politica, il rumore dell’onda si attenuerà, e diventerà uno spazio ancora più breve, un lancio di agenzia, una frase di Francesco all’Angelus. Poi ci sarà il servizio: Lampedusa, un mese dopo; e un talk show del pomeriggio. Metteranno il solito leghista becero e il parroco, Sgarbi e la Santanchè, il ministro di colore e il tizio della Caritas.
Fino alla prossima onda, è chiaro. Che sarà un terremoto, una bomba, una slavina, un bimbo in un pozzo, una donna bruciata viva, una ragazzina scomparsa.
“Mare Monstrum”. Oppure “Cimitero in mare”. Oppure “La mattanza”. “Un mare di morti”. Tragedie come quella di Lampedusa sono sempre l’occasione per un’esaltazione della retorica, della rincorsa al titolo più efficace, della prima pagina più emotivamente coinvolgente. E se invece provassimo a stare in silenzio? Ci dovrebbe essere un urlo, oggi, nei giornali. Non un titolo. Un urlo. Da fare cominciare sotto la testata e continuare via via attraverso la cronaca, le pagine della cultura, l’indice di borsa, i risultati sportivi, i programmi tv. A sottolineare che questa non è una tragedia. E’ un “mentre”, è il mondo che accade mentre noi facciamo altro.
Una volta, intervistai in radio un medico. Un medico legale. Che era stato in servizio ad Agrigento, e si era occupato del riconoscimento di alcune salme di persone morte durante il disperato tentativo di attraversare il mare e di lasciare l’inferno per raggiungere l’Italia e l’Europa. Lui, all’obitorio dell’ospedale, ogni giorno riceveva parenti e amici, mostrava i cadaveri, attendeva nel loro mutismo di scorgere i segni del dolore.
A quel medico non chiesi nulla di analisi socio economiche, di “cosa possiamo fare per”, di solidarietà. Chiesi, davvero, di descrivere: come si muore in mare? come viene trovato un corpo? Noi questo non lo sappiamo, perchè tante cose non sappiamo, e parliamo, e facciamo analisi e ci diciamo le cose, ma la morte bisogna toccarla con mano per capirla. Lui cominciò a raccontare: del fatto che in mare si muore per ipotermia, ed è questione a volte di poco, a volte di tanto, che si annega, certo, ma ci sono corpi che hanno segni di contusione, perchè sbattono nel barcone o tra loro. Cozzano, testa contro testa, si centrifugano si mischiano. I crani lacerati, i toraci sfondati. Alcuni annegano ad occhi aperti. C’è chi muore contro gli scogli. Chi ingoia nafta. Chi muore soffocato. E soprattutto, nessun cadavere è riconoscibile dopo un po’.
I pesci. I pesci mangiano questi corpi, piano piano. Necessità biologica di fare nutrimento di ciò che noi rifiutiamo, di ciò che il mare passa, necessità biologica di pulire questo acquario chiamato Mediterraneo, dove i corpi si incrostano, marciscono.
I pesci mangiano questi corpi, piano piano.
Anche loro: cominciano sempre con gli occhi.