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28/03/2014 17:16:00

"Riina voleva uccidere Giuliani per colpire Falcone"

 Oggi, a 65 anni, è un uomo stanco e malato Rosario Naimo, uomo d'onore della famiglia mafiosa della borgata palermitana di Tommaso Natale e pentito da quattro anni, dopo essersi costituito alla Guardia di finanza. Ma negli anni ‘70 e ‘80 era l'"ambasciatore" di Totò Riina e quindi di tutta la mafia siciliana negli Stati Uniti. Una figura di grande prestigio, onorata e rispettata tra le due sponde mafiose dell'Atlantico. Riina in persona non volle che, ormai emigrato a New York, passasse agli ordini della prestigiosa famiglia di Charles Gambino, il "grande padrino" morto nel ‘76 nel proprio letto. «Mi voleva bene Riina - ha detto ieri, testimone della pubblica accusa al processo sulla trattativa Stato-mafia - e per questo mi disse di restare nella mia famiglia d'origine. Ci rispettavamo e ascoltava quello che gli dicevo».
Vita tranquilla a New York. Finché a metà degli anni ‘80 arrivò Benedetto Villico, un affiliato della cosca palermitana di Passo di Rigano. Con lui c'era Salvatore Inzerillo "nasone". Mi disse che aveva un messaggio di Angelo La Barbera per me e così seppi che dovevo chiedere ai Gambino di uccidere l'allora procuratore distrettuale di New York, Rudolph Giuliani. Villico mi disse che dietro La Barbera c'era Riina. Restai senza parole, ma a lui non dissi nulla».
Quando riferì a John e Joe Gambino il messaggio, «questi - ha detto Naimo - si dissero disposti a fare quanto richiesto. Mi opposi con tutte le mie forze e alla fine mi dettero ragione. In America non si uccidono giudici e poliziotti perché si rischia di avere tutta la nazione contro».
Tornato a Palermo nell'86 e nell'87, Naimo incontrò Riina. «Insisteva - ha spiegato - per l'attentato contro Giuliani. "Qui - mi diceva - vogliono così, altrimenti tutti i nostri sacrifici finiscono in nulla". Chi voleva l'omicidio non me lo disse e io non chiesi di saperlo. Ma dentro Cosa nostra c'era solo Dio dopo Riina. Mi spiegò che era un modo per isolare Falcone che era appoggiato da Giuliani e che c'erano persone che volevano la morte di Giuliani per dare un segnale agli Stati Uniti. Non so a chi si riferisse Riina, ma non ero stupido: forse politici oppure i servizi segreti».
Tornando al tema del processo che si sta svolgendo davanti alla prima sezione della Corte di Assise, nella trattativa Stato-mafia un ruolo centrale - ha sostenuto Naimo - l'avrebbe avuto Antonino Cinà, il medico-uomo d'onore che avrebbe consegnato a Massimo Ciancimino il "papello" con le richieste di Totò Riina. Sia Cinà sia Riina, sia Cancimino sono tra gli imputati. Nel ‘92 Naimo avrebbe incontrato Riina e Matteo Messina Denaro a Mazara del Vallo. Il capomafia corleonese, in quell'occasione, gli avrebbe raccomandato di convincere Cinà a non trasferirsi negli Stati Uniti, come aveva annunciato di volere fare. «Fagli togliere di testa il fatto dell'America - gli avrebbe detto Riina - perché lui ha molte responsabilità. Stiamo cercando di ottenere qualcosa, qualche privilegio per i disgraziati che stanno in carcere. Se va via lui siamo rovinati». Per i pm sarebbe la prova che Riina aveva avviato un dialogo con pezzi delle istituzioni finalizzato, tra l'altro, a ottenere benefici per i detenuti e che si era rivolto a Cinà per portare avanti la trattativa.