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13/04/2014 14:17:00

Incontro con l'autore: Beatrice Monroy all'Associazione Otium

di Leonardo Agate.     Beatrice Monroy ha presentato all'Associazione Otium il suo ultimo libro "Oltre il vasto oceano", editore Avagliano. Sono andato alla presentazione, anche perché l'autrice é stata mia insegnante in un corso di scrittura creativa. Non ho ancora letto il libro, che però ho comprato. Sul libro, quindi, non posso scrivere niente. Dall'introduzione di Barbara Lottero, patron dell'Associazione, ho capito che le é piaciuto. Quando lo leggerò, dirò la mia. Ora , però, anche per dare notizia di quest'incontro letterario ai lettori, mi soffermerò su un paio di cose che ho rilevato nella presentazione della Monroy.
Ad un certo punto, durante il dialogo con gli intervenuti, l'autrice ha toccato - non ricordo a che proposito - ma ci si cade ovunque a ogni pie' sospinto - il ventennio berlusconiano, etichettandolo come il disastro. La parola non stata proprio questa, ma il senso certo sì. Ho fatto osservare che, durante quel ventennio, ci sono stati tre intermezzi di governi di sinistra, che non hanno concluso un tubo. L'autrice é sembrata infastidita ed é passata subito ad altro. Suo diritto, ma il mio resta quello di pensare a quanto sia difficile in questo Paese cambiare le cose. Perché le cose possono essere cambiate a condizione che si faccia un'analisi seria di quello che prima é avvenuto. Quest'analisi seria del passato - del passato berlusconiano pure - gli italiani non riescono mai a farla. Successe la stessa cosa dopo il ventennio fascista. Nella marea montante dell'antifascismo, di sentimento o di convenienza, si é preso in blocco un ventennio della nostra storia e lo si é gettato alle ortiche. Come se si fosse trattato di un periodo che poteva essere avulso dal contesto precedente, il periodo giolittiano, e dal contesto successivo, quello dell'Italia partigiana e poi repubblicana. Inutilmente il filosofo Benedetto Croce insegnava che la storia non é a pareti stagne, tra un periodo e l'altro. Inutilmente insegnava che la linfa del passato irrora il presente, e che il giudizio deve essere equilibrato, senza fare di tutte le erbe un fascio.
Nei periodi di grandi cambiamenti, come quello che é avvenuto nel passaggio dal Regno alla Repubblica, con la guerra persa, é stato più comodo e meno doloroso rinnegare il ventennio precedente, come fosse appartenuto ad altri, e guardare alla nuova Italia da costruire. Sennonché, lo possiamo dire, il Paese nuovo, che é sorto sulle ceneri del deprecato vecchio regime, ha conservato alcuni aspetti deleteri del vecchio. La retorica fascista si tramutò in retorica antifascista. La superficialità e la supponenza del Duce si possono assomigliare a quelle di personaggi saliti in auge nell'Italia repubblicana. Certi atteggiamenti fanfaroneschi sul balcone di Palazzo Venezia si ripeterono, mutatis mutandis, sullo sfondo di Bandiere Rosse, di Scudi Crociati o di stendardi di altri partiti. Leo Longanesi osservò che in Italia ci sono due tipi di fascismo: quello dei fascisti e quello degli antifascisti.
In conclusione, condannare in blocco il ventennio berlusconiano al tramonto é una specie di cancellazione della nostra memoria collettiva, che non fa capire il presente.
Un'altra osservazione mi preme fare sulla presentazione del libro della Monroy. Riguarda la sua affermazione che non si notano più i grandi intellettuali di una volta. Ha citato Pasolini. Tanto di cappello, da parte mia. Ha aggiunto, la Monroy, che la classe intellettuale ha come paura di esporsi, temendo di essere emarginata. La sua é un'opinione, ma credo che il motivo per cui non si odono più personalità forti come Pasolini e Sciascia, sia che le successive generazioni, cresciute davanti la televisione con la brioscina in mano, non hanno più il nerbo di certi intellettuali del passato. Non é che ce ne siano, e se ne stanno in disparte e silenziosi per timore di parlare - timore di chi, se ognuno senza pagare pegno può dire quel che vuole e anche quello che non dovrebbe? - é che quelli che questa società ha da qualche tempo generato sono quelli che sono e non possono esprimere quel che non sanno.
E' doveroso dire che l'incontro con l'autrice é stato interessante.