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18/04/2014 06:53:00

Rostagno, chiesto l'ergastolo per Virga e Mazzara. "Ad agire Cosa nostra e massoneria"

 Condanna all'ergastolo per entrambi gli imputati. E' stata questa la richiesta del pubblico ministero Gaetano Paci a conclusione della sua requisitoria nel processo per l'omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, ucciso a Valderice il 26 settembre 1988. Del delitto sono accusati il boss mafioso trapanese Vincenzo Virga, indicato come il mandante, e Vito Mazzara, ritenuto uno dei killer.
Ad ascoltare le conscusioni del pm,in aula, anche Adriano Sofri, che con Rostagno fu uno dei leader di Lotta continua. Rostagno aveva fondato a Valderice la comunità di recupero di tossicodipendenti "Saman" e realizzava su RTC Tv privata di Trapani trasmissioni giornalistiche d'inchiesta sugli affari di Cosa nostra.
Nel corso della requisitoria, l'altro pm Francesco Del Bene ha sottolineato che nel delitto non c'è solo il timbro di Cosa nostra ma anche lo zampino della massoneria deviata. "Rostagno - ha detto il magistrato - può avere messo in pericolo anche altri interessi. Mafia e non solo mafia. Non è certo la pista interna... ma quel coacervo di interessi che si sviluppava nel centro Scontrino (dove operava la loggia massonica coperta Iside 2) e nella massoneria deviata".

Per i pubblici ministeri Francesco Del Bene e Gaetano Paci, l'omicidio di Mauro Rostagno è frutto di una convergenza d'interessi. Ma la fase organizzativa ed esecutiva del delitto è stata delegata a Cosa Nostra. Il Pm hanno chiesto  la condanna, alla pena dell'ergastolo, del boss Vincenzo Virga, ex capomandamento di Trapani, e di Vito Mazzara, sicario della famiglia mafiosa trapanese. Per l'accusa le prove raccolte consentono di affermare la colpevolezza di entrambi gli imputati.
Rostagno dava fastidio alla mafia. Le sue continue denunce costituivano una spina nel fianco per la criminalità organizzata ed ambienti ad essa collegati. Del Bene ha ricordato ieri le inchieste giornalistiche di Rostagno sulla massoneria deviata e sugli ambienti politici. "Rostagno - ha detto il pubblico ministero nel corso della requisitoria - può avere messo in pericolo anche altri interessi. Mafia ma non solo mafia. Ma quel non solo mafia - ha puntualizzato il magistrato - non è certo la pista interna. Non è certo Sergio Di Cori. Non è certo Francesco Elmo. Ma quel coacervo di interessi che si sviluppava all'interno del centro Scontrino e nella massoneria deviata". Per i pubblici ministeri vanno escluse tutte le piste alternative riproposte, nel corso del processo, dai difensori degli imputati.
A cominciare da quell'interna, che aveva portato, nel 1996, all'arresto di Elisabetta Roveri, compagna di Mauro Rostagno, e di alcuni ex ospiti di Saman ed all'incriminazione di Francesco Cardella. Va esclusa la pista politica legata all'omicidio del commissario Luigi Calabresi. Va anche esclusa quella riguardante il presunto traffico internazionale di armi, battuta con forza dalla difesa. Per i pubblici ministeri, il giornalista Sergio Di Cori e Francesco Elmo, chiamati a deporre nell'ambito del processo, sono inattendibili. L'unico teste ritenuto affidabile è Antonino Arconte, ex agente di Gladio, che però ha escluso il trasporto di carichi di armi a bordo di aerei. Le forniture destinate all'Africa, ha spiegato nel corso della sua audizione dinanzi la Corte d'Assise, viaggiavano a bordo di navi. Per i pubblici ministeri, quindi, le ragioni della morte di Mauro Rostagno vanno ricercate a Trapani, nella sua attività giornalista, nell'azione di denuncia quotidiana, condotta giornalmente dagli schermi televisivi. Il processo riprenderà mercoledì con gli interventi dei rappresentanti di parte civile.