Ecco chi sono i padroni della dialisi privata in Sicilia. Una multinazionale che cura 26mila pazienti in tutto il mondo. Il cui responsabile dell'area manager per la Sicilia porta lo stesso cognome del superboss latitante, Matteo Messina Denaro. Un'azienda che nell'Isola ha investito molto: più della metà delle proprie strutture italiane, ben 18 su un totale di 32, sono attive nelle province siciliane. Si chiama "Diaverum", un colosso delle cure nefro-dialitiche, la società più presente nel settore sul quale si sono concentrati i sospetti dell'assessorato regionale alla Salute, che ha trasmesso alcuni atti alla Procura di Palermo. Atti che ora sono al centro dell'indagine sulle ipotesi di infiltrazioni mafiose e di irregolarità amministrative, rivelata domenica scorsa dal nostro giornale. «È solo un'ipotesi investigativa, non è assolutamente dimostrato che dietro la rete sanitaria della dialisi della Regione Siciliana ci sia l'ombra del boss latitante Matteo Messina Denaro», ha affermato lunedì Leonardo Agueci, procuratore aggiunto di Palermo. Rivelando che «siamo partiti da una segnalazione della Regione su cui stiamo lavorando», ma precisando che «fino a questo momento non c'è neppure un indagato in questa inchiesta».
Già nell'anticipazione di domenica scorsa avevamo parlato delle attenzione dei magistrati rispetto alla posizione di una multinazionale del settore, senza ricevere alcuna smentita. E il Tgr Rai Sicilia, in due servizi in onda lunedì scorso, ha approfondito la questione. Parlando di 18 centri di dialisi acquistati da una società che non risulta convenzionata con la Regione: questa la prima «anomalia» riscontrata in uno screening avviato dalla Regione. La seconda sarebbe legata al fatto che i funzionari dell'assessorato alla Salute segnalano che tutti i contratti di questi centri sarebbero stati firmati da una stessa persona, il responsabile dell'area manager Sicilia per la medesima multinazionale, che sarebbe parente del boss Matteo Messina Denaro. Dal 2012 fino agli scorsi mesi, infatti, la società sarebbe «subentrata in numerose strutture private di cura per gli emodializzati in provincia di Trapani, nell'Agrigentino e nel Nisseno». Da qui sarebbe partita la segnalazione dell'assessorato alla Procura palermitana. Nemmeno su tutti questi particolari s'è registrata alcuna smentita al telegiornale siciliano della Rai.
Facciamo allora un passo avanti. L'identikit, già noto da tempo negli ambienti giudiziari, è quello della "Diaverum Italia". Una Srl legata al gruppo nato in Svezia (e che oggi opera in 18 Paesi nel mondo, con 440 milioni di fatturato e 8mila dipendenti), con una massiccia presenza in Sicilia. Due centri a Catania, altri 16 sparsi su tutto il territorio regionale: Acireale, Adrano, Augusta, Barcellona Pozzo di Gotto, Castelvetrano, Lentini, Marsala, Nissoria, Palagonia, Paternò, Petralia Sottana, Ribera, Riesi, San Gregorio di Catania, Sciacca e Troina. Il brand "Diaverum Italia", però, compare direttamente in 7 centri di emodialisi privati accreditati dalla Regione (in tutto 87) nell'allegato tecnico del decreto 25 luglio 2012 dell'assessorato alla Salute "Rete per il trapianto del rene". Inoltre, risultano differenti ragioni sociali se si incrociano le strutture indicate nel sito della "Diaverum" e i centri accreditati nel decreto della Regione. Tutto ciò non rappresenterebbe alcunché di anomalo, in una normale logica di mercato.
Ma l'assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino, interpellata lunedì dall'Adnkronos, ha confermato che «da un anno l'assessorato sta svolgendo un'attività di verifica dei i profili autorizzativi di tutte le strutture private accreditate». E proprio da questa verifica incrociata è venuto fuori che «alcuni centri di emodialisi avevano contratti con le Asp intestati a una società diversa da quella nota all'Assessorato e che non risultava fra i nostri soggetti accreditati». Secondo quanto riferito dall'assessore, riporta l'agenzia di stampa, «al momento dell'accreditamento l'interlocutore della Regione era una società diversa rispetto a quella con cui poi è stato firmato il contratto. L'Asp avrebbe dovuto comunicare all'assessorato alla Sanità il passaggio nella proprietà della società in modo da perfezionare il provvedimento di accreditamento». In merito all'inchiesta su un possibile intreccio tra le attività del boss latitante Matteo Messina Denaro e la gestione dei centri dialisi privati della Sicilia, l'assessore ha ammesso: «Abbiamo collaborato con l'autorità giudiziaria affinchè si facesse luce su questi casi».
E la presenza dell'omonimo del boss all'interno della società? Sul sito della "Diaverum Italia" (attiva dal 1994, con 350 dipendenti e 1.550 pazienti sul territorio nazionale) nel menu "Il nostro team" c'è una foto dei dirigenti col dettaglio dei loro profili. Come "Area Manager Sicilia" è indicato Gianfranco Messina. Un singolo cognome, che si raddoppia (aggiungendo Denaro) nel profilo Linkedin del professionista, il quale risulta «dirigente presso Diaverum», con provenienza Trapani e rapporto con l'azienda dal gennaio 2001. Da una fonte qualificata abbiamo avuto la conferma che il manager non sarebbe soltanto omonimo, ma cugino di Messina Denaro. Un legame di parentela che non rappresenta di per sé nulla di penalmente rilevante; ma è chiaro che, nel contesto di un'indagine di questo tipo, il particolare non è ininfluente.
Ci siamo rivolti alla "Diaverum Italia Srl", chiedendo un commento sul presunto coinvolgimento dell'azienda nell'inchiesta siciliana e sui legami di parentela di uno dei manager con il boss Messina Denaro. E abbiamo ricevuto questa risposta, firmata dall'avvocato milanese Alvise Moro: «La Società è assolutamente estranea alle vicende ed ai fatti riportati nei recenti articoli di stampa. La gestione, infatti, è trasparente, come facilmente verificabile. Nel respingere, pertanto, le insinuazioni in ordine ad ipotesi di reato o anche a eventuali "anomalie", si diffida dall'utilizzo diffamatorio del nome della Società, cui nulla può essere contestato. Ulteriori insinuazioni e/o accostamenti impropri relativamente a presunte attività illecite saranno perseguiti nei modi e nei termini di legge perché lesivi del prestigio e dell'onore della Società».
Noi, per ora, ci fermiamo qui. Lasciando ad altri - i magistrati di Palermo, l'assessorato alla Salute, la commissione Antimafia dell'Ars - il compito di scrivere la verità su questa storia.
Mario Barresi, La Sicilia, 15 Maggio 2014
Questa la replica della società, pubblicata su La Sicilia del 20 Maggio:
Il suo giornale, da domenica 11 maggio u. s., ha pubblicato una serie di articoli a firma del giornalista Mario Barresi sui centri dialisi in Sicilia. Nei vari articoli si fa cenno, più o meno esplicitamente, ad interessi economici nei detti centri, di proprietà di una nota multinazionale del settore, ad un personaggio al centro delle cronache giudiziarie, certo Matteo Messina Denaro.
Il giornalista redattore degli articoli, inizialmente sia pure attraverso non larvate allusioni, insinua che gli interessi del Matteo Messina Denaro sarebbero rappresentati in alcuni centri dialisi della Sicilia dal rag. Francesco Messina Denaro, dipendente della multinazionale.
Nell'articolo del 15 maggio u. s., si fa esplicito riferimento al predetto dipendente della multinazionale definendolo non solo "omonimo, ma cugino di Messina Denaro", sia pure cercando di camuffare una eventuale responsabilità diffamatoria del redattore dell'articolo, con la successiva precisazione e cioè che "un legame di parentela che non rappresenta di per se nulla di penalmente rilevante, ma è chiaro che, nel contesto di un'indagine di questo tipo, il particolare non è ininfluente".
Nell'interesse del sig. rag. Francesco Messina Denaro, che me ne ha conferito esplicito mandato, desidero precisare come prima circostanza, come già fatto direttamente dallo stesso rag. Francesco Messina Denaro, che nessun legame intimo di parentela esiste tra il mio assistito e Matteo Messina Denaro. Se il suo giornalista si scomodasse, non a fare una indagine anagrafica, ma a consultare l'elenco delle utenze telefoniche troverebbe che a Castelvetrano esiste una miriade di persone con il cognome Messina Denaro e che sicuramente, andando indietro con il tempo, un filo anche di lontana parentela tra di loro potrebbe esistere.
Il mio assistito, di contro, non è un improvvisato né un parvenu nel settore sanitario e specificatamente in quello dell'emodialisi. Il sig. rag. Francesco Messina Denaro inizia la sua attività lavorativa nell'ormai lontano marzo 1983 quale impiegato amministrativo della "Casa di cura Valle del Belice" - laboratorio di analisi e centro dialisi - di Castelvetrano, nelle successive trasformazioni sia della compagine societaria che della ragione sociale della predetta Casa di cura, si è avuta la salvaguardia del posto di lavoro del personale dipendente e ciò fino all'attualità con l'acquisto da parte della multinazionale che, prima del suo arrivo in Sicilia, operava in altri diversi Paesi del mondo, per cui il rag. Francesco Messina Denaro, come il resto del personale dipendente, è rimasto sempre in servizio anche con i nuovi soggetti. La qualifica rivestita dal mio assistito, si deve non al suo cognome, bensì alla ultratrennale esperienza positiva nel settore e alla sua specifica capacità professionale.
Ciò precisato, nell'invitarLa a pubblicare la precisazione che precede, diffido il suo giornale a non continuare nella insinuazione di eventuali posizioni di ingerenza di qualsiviglia natura del mio assistito con chiunque possa avere situazioni non trasparenti ed al di fuori della legalità, al fine di evitare di doversi rivolgere alla Autorità Giudiziaria per la tutela della sua onorabilità, del suo buon nome e della salvaguardia del suo posto di lavoro.
Roberto Genna
avvocato