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05/03/2015 07:17:00

Notarelle a margine del romanzo di Alessandro D’Avenia: “Ciò che inferno non è”

Gli studenti sono – specie se hanno già letto il libro – i protagonisti dell’”Incontro con l’Autore”.

Per questa ragione chi scrive – chiamato, con la prof. Ingrassia, a coordinare l’iniziativa in rappresentanza, rispettivamente, dell’ITC “Garibaldi” e del Liceo Scientifico “P. Ruggieri” – si limiterà, qui, a formulare qualche breve considerazione ed alcuni interrogativi, allo scopo di contribuire ad accendere e rendere più proficuo il civile confronto tra i partecipanti.

Prima di entrare in medias res, però, va sottolineato che, quando uno scrittore come Alessandro D’Avenia, autentica icona degli adolescenti al tempo di internet, beniamino dei “nativi digitali”, invece di scrivere “guardandosi l’ombelico”, fa accostare migliaia di ragazzi alla lettura di un romanzo che ha al centro un tema così delicato –la subcultura mafiosa e la sua potente capacità d’attrazione per troppi giovani nati in ambienti difficili – e una storia come quella di Don Pino Puglisi – che, in quegli stessi ambienti, lotta a viso aperto insegnando ai ragazzi a “camminare a testa alta” – ciò equivale a 1000 progetti sulla legalità (specie se questi si riducono a sterile “chiacchiericcio antimafia”: come, non di rado, é accaduto in questi anni).

Venendo, ora, al bel libro del Prof.2, esso si apre con un incipit eccellente: un serrato dialogo tra 3P (così come gli studenti chiamano Padre Pino Puglisi) e Francesco, uno dei tanti ragazzini che il sacerdote tenta di strappare alle grinfie della criminalità organizzata. Con rapide pennellate – tra il guizzante Calvino e il cinematografico Salinger – l’autore ci regala un affresco in bianco e nero del devastato quartiere ‘Brancaccio’, dandoci subito contezza della sua siderale distanza dalla città di Palermo. Della recalcitrante fauna umana che lo abita e, in particolare, dei troppi “bambini persi per strada”, vittime dei micidiali dispositivi pedagogici di ‘Cosa Nostra’, cui fa da contraltare l’inadeguata offerta formativa della scuola pubblica. Di una delle “zone a rischio” per antonomasia, caratterizzata dalla mancanza quasi assoluta di qualsiasi, seppur larvata, sembianza di Stato. Dei titanici sforzi profusi da Don Puglisi – nato a ‘Brancaccio’ e figlio di ciabattino – per stabilire un clima d’empatia con i ‘ragazzini terribili’ che scorazzano per le dissestate strade del quartiere, conoscerne a fondo i problemi quotidiani, la psicologia, i modelli di comportamento e i ‘disvalori’ cui vengono, loro malgrado, educati. Qual é l’unico vantaggio di 3P? Parlarne la stessa criptica lingua, decrittandone, al contempo, con precisione chirurgica, il ben più eloquente linguaggio del corpo.

E’ un “parrino” normale, Don Pino: ma anche una sorta di “maestro di strada” ante-litteram.

E’ un adulto che, facendo tesoro del monito di Neruda, rifiuta di “uccidere il bimbo che è in lui”.

E’ un uomo (fragile ma determinato) non un eroe tutto d’un pezzo. E’ un sacerdote ma, se in una mano tiene il Vangelo, nell’altra stringe la Costituzione Italiana. Un servo di Cristo impegnato a rintracciare, nell’inferno di un quartiere ove, nel giorno della strage di Capaci, i ragazzi fanno festa e scrivono sui muri “W la Mafia”, i frammenti, sia pur microscopici, di “ciò che inferno non è”.

Sicché,quando in questo già di per sé complicato scenario, irrompono due dei protagonisti principali del romanzo (“Il Cacciatore” – imbattibile nel ‘fare presto e bene ciò che va fatto’: rapina o spaccio, estorsione oppure omicidio,poco importa – e “Nuccio”,suo prediletto e non meno feroce allievo) noi lettori capiamo subito quali sono le regole auree dello speciale decalogo imposto dai malacarne ai ragazzi del quartiere e, al contrario, quanto proibitiva, sia la mission di 3P impegnato a realizzarne la ‘bonifica’ e consapevole di dover procedere in “direzione ostinata e contraria”.

E’ terrificante, a tal proposito, l’episodio del macabro rituale, descritto nel secondo capitolo, attraverso il quale, dai loro “cattivi maestri”, i ragazzini vengono indotti a liberarsi delle carcasse dei pittbull sconfitti nei combattimenti clandestini che, negli anfratti più reconditi del quartiere, ‘Cosa Nostra’ organizza, per tenere alto il morale dei suoi adepti.

Nessuna sorpresa,in siffatto contesto,desta apprendere che,il “Cacciatore” e Nuccio,hanno mollato anzitempo la scuola, per intraprendere ben altri ‘itinerari formativi’: così come accade, del resto, nei quartieri “a rischio” di Palermo, di Catania e di tante città siciliane, compresa la nostra.

Anzi, visto che – in collaborazione con la Libreria Mondadori – la Re. Ma. Pe. – guidata dalla Dirigente Sara Garamella – ha scelto di celebrare l’incontro con D’Avenia nell’Aula Magna del “Damiani”,da tempo afflitto – come la stragrande maggioranza degli istituti tecnici e professionali – dal suddetto problema, ci piacerebbe ascoltare l’opinione dell’autore proprio sulla Dispersione Scolastica, contro la quale l’instancabile 3P, coadiuvato dal Comitato Intercondominiale, per anni, lottò, invano,proponendo a diverse amministrazioni di far sorgere una Scuola Media a ‘Brancaccio’.

Glielo chiediamo perchè,con Sciascia,siamo persuasi che,sovente,la realtà riesce meglio a decifrarla uno scrittore che non intere legioni di valenti sociologi, raffinati pedagogisti e solerti funzionari ministeriali. Abituati a spaccare il capello in quattro nei loro laboratori di ricerca o ad elaborare (contro)riforme nelle ovattate stanze dei loro dicasteri, ma distanti anni-luce dalle competenze che soltanto la frequenza dell’Università della Strada può conferire.

Tornando al romanzo, D’Avenia, ad un certo punto, racconta della maestra Gabriella: la vediamo impegnata a far memorizzare ai suoi piccoli allievi le lettere dell’alfabeto e,giunta alla“C”,decide di mostrar loro la figura di un cane, facendo tornare alla mente di Francesco l’immagine, purtroppo, per lui così consueta, delle povere bestie, prima lacerate dalle ferite rimediate nei combattimenti e poi,per punirle delle sconfitte subite,trucidate dal ‘branco’,come ordinato dal ”Cacciatore”e dai suoi degni compari.

L’episodio, induce l’autore a concluderne che: “a scuola ti insegnano le cose come devono essere, non come sono” e,di converso,chi scrive, a chiedergli:come fa, il professor D’Avenia, a scongiurare tale deprimente evenienza? A quali strategie ricorre, ad esempio, per promuovere la lettura (il 71% della popolazione, in Sicilia, in un anno, non legge nemmeno un libro) al di là dei pur encomiabili, ma di certo non esaustivi, “Incontri con l’Autore”?

Quale periglioso cammino l’ha portato a contrarre la pericolosa malattia – che con lui, peraltro, condividiamo – nota come “libridine acuta” (come confessa Federico, suo alter ego, a Lucia)?

Quali, al netto dell’insana passione per Dostoevskij, i suoi autori preferiti?

E, infine, quali i libri che consiglia di leggere, soprattutto ai ragazzi della scuola dell’obbligo(per gli “esperti”, infatti, quelli più grandi, sono già “persi alla causa”) per favorirne la scelta, oggi, ahimé, sempre più improbabile, di entrare nel novero dei “lettori forti”?

 

G. Nino Rosolia

Coordinatore Progetto Educativo Antimafia

ITC “Garibaldi” - Marsala/Centro Studi “Pio La Torre” - Palermo