"L’Unione europea deve solo provare vergogna. Vergogna perché non fa niente per fermare il genocidio in atto nel Mar Mediterraneo. Noi di Lampedusa sappiamo da anni da dove partono, figuriamoci se non lo sanno anche i decisori politici della Ue… vergogna, tanta”. Vito Fiorino chiude gli occhi e se li ricorda ancora i 47 migranti che ha salvato tirandoli a braccia sulla sua barca, laGamar, la notte di quel 3 ottobre 2013, mentre dava l’allarme alla Guardia costiera per quella che sarebbe stata la prima – almeno 366 vittime accertate - delle oramai frequenti stragi del Canale di Sicilia. Ora non esce più così tanto in mare (“è cambiato tutto dentro di me, il mio sguardo, la mia vita, dopo quella notte”) e alterna all’attività di pescatore la gestione di una gelateria cittadina e, nei mesi invernali, il lavoro di falegname a Sesto San Giovanni, nel milanese. Appena ci risponde al telefono, Fiorino ha già capito: 700 dispersi in mare in soli tre giorni. “Sì, bisogna riparlarne. Di nuovo. Anche perché rispetto a tre anni fa è molto peggio”.
Dal quel naufragio a oggi almeno altre 5mila persone – tante quante le vittime degli atroci attentati alle torri gemelle – hanno perso la vita in mare. “Escluse le enormi stragi del 3 e dell’11 ottobre, allora ne morivano in numero molto minore, 5-10 persone in tutto, ora stiamo ragionando a centinaia, enon ci sono più giustificazioni, per nessuna persona del mondo, tutti sappiamo e le cose non cambiano”, sottolinea il pescatore lampedusano. “Chi può cambiare le cose per davvero si nasconde ancora oggi dietro a un dito: può scoprire tutto, ma non lo fa”. Scoprire cosa? “Ogni luogo di partenza delle barche. Grazie ai satelliti, gli stessi che possono sapere che cosa succede in ognuna delle nostre case, si sa benissimo dove sono i campi libici da 10-20 mila posti dove queste persone vengono trattenute dai trafficanti in attesa di fare il viaggio in mare”. Ma in Libia, la giustificazione per non intervenire è l’instabilità politica. “E’ una scusa che non regge, non l’accetto e nessuno di noi la deve accettare. Intervenire si può, senza fare finta di aspettare l’arrivo di un eventuale governo democratico, in realtà si è schiavi anche qui di interessi economici”, afferma Fiorino, “ci rendiamo conto che era meglio quando comandava Gheddafi? Non c’era il disastro umanitario in atto ora”.
Il pescatore, che è appena tornato da Berlino dove una compagnia teatrale l’ha invitato a una rappresentazione sulla strage del 3 ottobre (“l'opera sta girando la Germania da due anni, tanto è capace di entrare nei cuori delle persone”), è sconcertato anche da quanto, in tutto questo lassismo istituzionale, si stia lasciando campo libero alle mafie. “Già allora, ogni persona che ho salvato aveva pagato 1600 dollari a testa, che per 600 migranti a bordo porta a un totale di quasi un milione di euro per il trafficante, tolti i 3mila euro dati a ciascuno scafista. Oggi il sistema è ancora più disumano: attaccano le barche senza motore con una fune, poi le lasciano in balia del mare e tornano sulle coste libiche”, riporta Fiorino. Che non vuole smettere di credere nell’umanità, nonostante faccia fatica ad accettare certe reazioni delle persone - dal vivo gli è successo solo con due vigili urbani una volta tornato in Lombardia: “Ma cosa ti è venuto in mente di salvare quelle persone”, gli dissero - che seguono il dramma limitandosi alle opinioni in televisione: “porterei tutti, a cominciare dai politici e chi inveisce contro i migranti, sulla mia barca, per toccare con mano quello che accade. Una cosa cosìti entra nella pelle e non esce mai più, come successo a me. E non ti azzarderesti mai più a giudicare”.
Le persone che fuggono verso l’Europa, “cercano la salvezza da guerre o persecuzioni, o la michetta, ovvero da mangiare, come i nostri nonni andati nelle Americhe, in Belgio o in Germania”, ribadisce Fiorino. “Aiutarli a casa loro? Se la smettessimo di sfruttare le loro terre, sarebbe un primo passo. Apriamo gli occhi, sì, ma non sbandierando inconsistenti rischi di invasione, piuttosto andando contro chi si ostina a costruire muri o non persegue soluzioni comuni”.
Daniele Biella - Vita