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08/01/2017 06:30:00

Trattativa Stato-Mafia, Gebbia: "Nino Salvo disse che Subranni era un amico"

All’ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia che si sta svolgendo a Caltanissetta è stato chiamato a testimoniare il generale dei carabinieri in pensione Nicolò Gebbia che a settembre del 2015 aveva scritto ai giudici per essere sentito. In dibattimento Gebbia ha ripercorso il periodo in cui fu comandante a Marsala e proprio allora venne a sapere dei rapporti che intercorrevano tra i cugini Nino e Ignazio Salvo di Salemi e alcuni ufficiali, l’ex capitano Frasca, in servizio a Marsala negli anni ’70, e il generale Antonio Subranni.
Proprio riguardo a Subranni, secondo la ricostruzione del teste, a fare il suo nome sarebbe stato Nino Salvo subito dopo un interrogatorio avuto con lo stesso Gebbia. “Il suo capitano ci pare un galantuomo siamo sicuri che non vestirà i pupi – avrebbe detto Nino Salvo al brigadiere Canale che lo stava accompagnando fuori – noi abbiamo due grandissimi amici situati in due fronti contrapposti, da un lato il colonnello Subranni e dall’altro Tano Badalamenti”.

Gebbia ha continuato con il suo racconto dicendo che in merito a questi rapporti chiese informazioni al maresciallo Pietro Noto, il quale avrebbe detto che, quando andarono a casa di Nino Salvo per il sequestro del suocero Corleo, videro dei MAB (armi da guerra) appoggiati al muro ed erano presenti anche Subranni e Frasca ma "non fecero nulla a parte cercare di prendere la matricola senza destare sospetti”. Gebbia ha anche detto di aver appreso dai suoi collaboratori che Frasca dopo il sequestro dell’esattore Luigi Corleo, era diventato un uomo dei cugini Salvo.

Altro punto toccato da Gebbia durante la sua testimonianza riguarda una telefonata tra Nino Salvo e l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti avvenuta di fronte a Subranni e Frasca che riferì allo stesso Noto. Gebbia: “Noto mi raccontò che Salvo aveva telefonato ad Andreotti per far ottenere al boss Tano Badalamenti (che si trovava al confino nel nord Italia) un permesso per la provincia di Trapani” per aiutarlo a ritrovare il corpo del suocero, ha spiegato il teste. Ma alla richiesta fatta da Salvo, Andreotti rispose che non si poteva fare e l’esattore salemitano si arrabbiò e chiuse il telefono in faccia all’allora presidente del consiglio.

Gebbia ha raccontato anche degli impedimenti che ha trovato da comandante del reparto operativo di Palermo dal 2002 a fine 2003 quando era impegnato nella ricerca di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Gebbia: “Io venni a Palermo per catturare Provenzano ma Sottili mi disse che non si poteva perché Grasso aveva stabilito che la ricerca di Provenzano spettava ad un apposito reparto della squadra mobile ed ai carabinieri del Ros”.
Ma il generale dei carabinieri avrebbe attivato comunque un suo confidente e indagando sugli spostamenti di Matteo Messina Denaro, e tramite alcune intercettazioni  si era arrivati all’infermiere di Provenzano, Gaetano Lipari, che una volta a settimana andava dove Provenzano si nascondeva per fargli delle iniezioni.
Riguardo a queste indagini Gebbia ha detto di aver consegnato un appunto nelle mani del generale Gennaro Niglio poco prima di lasciare il comando provinciale di Palermo per assumere quello di Venezia.
Niglio morì in un incidente stradale assieme al suo autista, il 9 maggio del 2004. Poco prima dell’incidente, “nei primi mesi del 2004 – ha detto Gebbia – chiesi a Niglio che fine aveva fatto l’appunto che gli avevo dato e lui mi rispose: ‘la Gestapo ci sta lavorando’, intendendo per Gestapo il Ros”.  Il 12 gennaio si tornerà in aula con l'audizione del commissario Salvatore Bonferraro.