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06/06/2017 07:35:00

Corte dei Conti condanna maresciallo CC Enrico Lazzaro per danni all’immagine dell’Arma

“Ha danneggiato l’immagine dei Carabinieri e deve risarcire l’Arma e il Ministero della Difesa pagando 10 mila euro, più rivalutazione dal passaggio in giudicato della sentenza penale e interessi legali”. E’ quanto ha sostanzialmente sentenziato la Corte dei Conti, sezione Sicilia, presieduta da Luciana Savagnone, nel procedimento che vede protagonista il maresciallo dei carabinieri Enrico Lazzaro, fino al 2008 in servizio alla sezione di pg della Procura di Marsala. I danni all’immagine dell’Arma dei carabinieri sarebbero stati provocati a causa dell’eco mediatica che ha avuto il procedimento penale che nel dicembre 2014 ha visto il sottufficiale originario di Taranto definitivamente condannato dalla Cassazione a un anno e 10 mesi di reclusione per abuso d’ufficio, molestie telefoniche e accesso abusivo a sistema informatico.

Per Lazzaro, la Procura contabile aveva invocato un risarcimento di 30 mila euro. La vicenda penale si era conclusa con la decisione della Cassazione di sancire la prescrizione per uno dei reati contestati (tentata violenza privata), con cancellazione della relativa pena (5 mesi di reclusione), e la conferma, per il resto, della sentenza con cui, il 15 novembre 2012, il Tribunale di Marsala (presidente Gioacchino Natoli, giudici a latere Sara Quittino e Roberto Riggio) condannò il sottufficiale. Lazzaro fu assolto solo dall’accusa di diffamazione. La sentenza di primo grado fu confermata dalla Corte d’appello di Palermo il 16 giugno 2014. I fatti contestati risalgono al periodo maggio-giugno 2007 e sono relativi alla vita privata del maresciallo. In particolare, agli sviluppi che, secondo l’accusa, seguirono l’interruzione di un rapporto sentimentale extraconiugale intrattenuto per diversi anni con una donna, Ignazia Daniela Anselmi, che poi ha denunciato il militare. Raccontando, tra l’altro, che questi le disse che l’avrebbe rovinata in quanto in possesso di alcune foto che la ritraevano in atteggiamenti compromettenti. Per una serie di telefonate mute e per accesso abusivo a sistema informatico, in quanto il Lazzaro sarebbe riuscito ad entrare nella posta elettronica della donna. L’abuso d’ufficio, infine, fu contestato perché Lazzaro avrebbe svolto indagini sulla sua ex amante (impiegata al Comune di Marsala) di sua iniziativa, all’insaputa degli stessi colleghi. Il Tribunale condannò Lazzaro anche al pagamento di un risarcimento danni di 25 mila euro in favore delle parti civili (20 mila per la Anselmi e 5 mila per il marito, all’epoca dei fatti fidanzato, Giovanni Zichela).

Il gup Giuliana Franciosi aveva prosciolto il militare dalle molestie telefoniche e ingiurie. Poi, però, la Procura tornò alla carica per le molestie. A sostenere l’accusa, nel processo di primo grado, è stato l’allora sostituto procuratore Dino Petralia, la cui richiesta di pena fu accolta dal Tribunale. “Il giudice penale – scrivono i magistrati della Corte dei Conti - ha accertato con efficacia di giudicato come il sig. Lazzaro perseguitasse la Anselmi insistentemente, attraverso sms, telefonate, continue minacce di diffondere fotografie in cui la stessa era ritratta in atteggiamenti compromettenti nonché introducendosi nella sua casella di posta elettronica, molestando, altresì, con le stesse modalità, parenti ed amici della stessa nonché il fidanzato della Anselmi medesima, poi divenuto marito. In tale contesto si inserisce il reato di abuso di ufficio, consistito nel portare avanti indagini penali a carico dell’Anselmi, per il quale il giudice penale ha accertato la sussistenza di una condotta finalizzata unicamente a danneggiare la persona di quest’ultima, senza alcun interesse pubblico apparente. Il Lazzaro, infatti, sulla base di una presunta denuncia anonima, ha iniziato a svolgere indagini, dapprima con riferimento a tutti i dipendenti del settore urbanistica del Comune di Marsala, per poi palesemente concentrarsi sulla persona della Anselmi; le modalità con cui si è estrinsecata la condotta del Lazzaro rivelano l’uso distorto che il convenuto  ha fatto dei propri poteri, con ciò innegabilmente screditando l’Arma di appartenenza. Nella sentenza di primo grado si legge come dalle numerose testimonianze raccolte in sede penale, sia stato palese sin da subito che il Lazzaro stesse portando avanti nelle indagini svolte, unicamente l’interesse personale di perseguitare la signora Anselmi. Vanno, a questo punto, verificate, le ricadute che il fatto reato, così come descritto, abbia avuto sull’opinione pubblica e sulla immagine che della pubblica amministrazione possano avere i consociati. I fatti, nel caso in esame, hanno avuto subito un’eco mediatico di notevole rilevanza. Come correttamente sottolineato dalla Procura procedente, la vicenda ha continuato a diffondersi nel tempo, anche attraverso un continuo aggiornamento mediatico degli avvenimenti giudiziari sottostanti. Sono stati allegati al fascicolo processuale stralci di notizie prese dal web  (www.gds.it, www.tp24.it) dove negli anni, dal 2012 al 2015, vengono descritte le vicende giudiziarie del Lazzaro ed ove innegabilmente risaltano agli occhi le parole “abuso di ufficio”, “condanna”, “molestie”, “carabiniere” con ciò contribuendo a screditare, inquinare, ridicolizzare e, quindi, a danneggiare, l’immagine che ha l’Arma dei Carabinieri agli occhi dei consociati che, ontologicamente, rappresenta per l’intera comunità, quale coacervo di sicurezza, legalità e fiducia, la parte dello Stato più vicina a cui rivolgersi per la tutela dei propri interessi e della propria persona. L’uniforme indossata dalle Forze dell’Ordine, innegabilmente, rappresenta per i consociati un punto di riferimento, di certezza e di conforto, facendo sì che chi la indossa possa incarnare innegabilmente, la parte dello lo Stato più vicina al cittadino. L’uso distorto, anzi, l’abuso dell’uniforme, aggravato dai biechi e futili motivi personali sottesi alla condotta tenuta dall’agente, non può non aver ingenerato nella comunità disapprovazione, amarezza e sconforto con ciò screditando l’intera  Arma dei Carabinieri, la cui immagine lesa deve essere necessariamente ripristinata in tutta la sua integrità”.