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26/09/2017 07:20:00

Omicidio Mirarchi, parlano gli investigatori: "Non è stato ucciso da fuoco amico"

  Altre tre investigatori sono stati ascoltati, davanti la Corte d’assise di Trapani, nel processo per l’omicidio del maresciallo Silvio Mirarchi. Un processo che vede alla sbarra, per omicidio in concorso con altri ancora da identificare, il 46enne bracciante agricolo e vivaista marsalese Nicolò Girgenti.

A deporre in quest’ultima udienza sono stati tre carabinieri: il maggiore del Ris di Messina Claudio Ciampini, il luogotenente Alberto Furia, del Norm di Marsala, e il maresciallo Giuseppe De Filippi, del Roni di Trapani. Il maggiore Ciampini, in particolare, ha escluso che Mirarchi sia rimasto vittima di “fuoco amico”. E cioè che nella concitazione di quei drammatici momenti della sparatoria possa essere stato magari colpito dall’altro carabiniere che sparava, al buio, contro i criminali che avevano fatto fuoco. Seppur a bassa voce, infatti, questa era stata una possibilità che qualcuno aveva ipotizzato. A colpire Mirarchi ha, invece, affermato il maggiore del Ris “è stato colpito un proiettile che ha caratteristiche diverse da quelle in dotazione alle forze dell’ordine”. Mirarchi fu ferito a morte in contrada Ventrischi, la sera del 31 maggio 2016, davanti a una serra all’interno della quale furono, poi, scoperte 6 mila piante di canapa afgana. Girgenti è accusato anche del tentato omicidio di Cammarata. Mirarchi, che era vice comandante della stazione di Ciavolo, fu ferito a morte con un colpo di pistola mentre con l’appuntato Cammarata, rimasto miracolosamente illeso, era impegnato in un appostamento volto a contrastare furti di ortaggi, più volte segnalati da un agricoltore della zona. Sette sarebbero stati i colpi di pistola esplosi contro i due militari non appena questi, qualificandosi, hanno imposto l’alt a persone che si muovevano nel buio nell’area incolta di fronte le serre e che parlavano in siciliano. Si scoprirà, poi, che questi stavano portando via piante di marijuana. Per gli inquirenti, le avevano appena rubate nelle serre la cui gestione, qualche mese prima, era stata ceduta proprio dal Girgenti al 54enne partinicese Francesco D’Arrigo. Quest’ultimo fu individuato e arrestato poche ore dopo la sparatoria. E per coltivazione di marijuana, il 19 luglio, D’Arrigo è stato condannato dal gup Riccardo Alcamo a 3 anni e mezzo di carcere. Tre anni, invece, sono stati inflitti a Fabrizio Messina Denaro e 2 anni e mezzo a Girgenti. Il luogotenente Furia ha, poi, illustrato l’attività investigativa svolta subito dopo l’omicidio e spiegato come si arrivò a Girgenti (proprio indagando sulla gestione delle serre con la marijuana). Il bracciante marsalese, difeso prima dall’avvocato Vincenzo Forti e adesso da Genny Pisciotta e Giuseppe Pinta, si sarebbe tradito perché ai carabinieri che quella tragica sera hanno bussato alla sua porta ha detto che era andato a dormire due o tre ore prima. “Ma il suo volto non ci è sembrato assonnato – ha detto Furia – e la nostra intuizione è stata confermata dal successivo esame stub”. Da questo, effettuato dal maresciallo De Filippi, è emerso che Girgenti, qualche ora prima, avrebbe sparato. Parte civile i familiari di Mirarchi. A rappresentarli sono gli avvocati Giacomo Frazzitta, Roberta Tranchida e Piero Marino. Parte civile anche l’appuntato Cammarata, assistito dall’avvocato Walter Marino.