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12/02/2018 06:35:00

Il calo di Messina Denaro e la sommersione. Come sta la mafia in provincia di Trapani

Matteo Messina Denaro è in fase calante. C’è una “lenta ma progressiva minore pervasività operativa della sua leadership”. Ma Cosa nostra in provincia di Trapani continua ad essere organizzata e strutturata secondo i vecchi mandamenti e famiglie. In Sicilia, però, come già da tempo è successo in provincia di Trapani “si prospetta la formale apertura di una nuova epoca - quella della mafia 2.0. - sempre più al passo con i tempi, che confermerà definitivamente la strategia della sommersione”.
E’ questa la fotografia di Cosa Nostra in provincia di Trapani fatta dalla Direzione Investigativa Antimafia nella consueta relazione semestrale. Cosa nostra in provincia di Trapani è in crisi, sconquassata dai blitz, ma che si conferma viva sul fronte delle estorsioni, degli appalti pubblici, degli affari in genere, con una strategia di sommersione e infiltrazione nel tessuto economico e politico.
Cosa nostra trapanese è sempre strutturata secondo un modello verticistico che consente una capillarità nel territorio. Ci sono 4 mandamenti, che raggruppano complessivamente 17 famiglie, le quali esercitano la propria influenza su uno o più centri abitati della provincia.
“Uno status quo che evidentemente non può prescindere dal ruolo del latitante Matteo Messina Denaro, il quale, per quanto episodicamente emergano segnali di insofferenza rispetto alla sua minore aderenza al territorio, continua a mantenere un rilevante carisma sui suoi adepti” scrive la Dia.
Cosa nostra trapanese, seguendo l’ideologia di Messina Denaro, del business, della sommersione, riesce sempre ad accumulare capitali e a fare affari.
Lo scorso anno sono stati operati diversi sequestri a soggetti ritenuti vicini a Messina Denaro e all’imprenditoria mafiosa.
Ma “è sulla figura del latitante che continua a reggersi un sostanziale equilibrio tra mandamenti e famiglie, con una apparente assenza di conflitti, fatta eccezione per circoscritti contrasti, interni alla famiglia di Marsala”.
La Dia ha relazionato anche su Castelvetrano, la città del boss latitante, il cui Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Tra le evidenze raccolte circa il condizionamento esercitato sull’Ente locale da cosa nostra ci sono quelle in seguito al sequestro di beni per 5,2 milioni di euro, nella disponibilità di un consigliere comunale e di un suo stretto parente, indiziati di essere soggetti “vicini” al latitante di Castelvetrano.
La proposta di scioglimento del Ministero dell’Interno ha richiamato sia fatti che denunciavano accordi preelettorali, sia l’affidamento di appalti pubblici una volta vinte le elezioni. Sottolinea la Dia che determinanti sono i ricorsi alle procedure di affidamento diretto degli appalti da parte dell’amministrazione per circa l’80% dei casi e “alcuni dei quali si sono conclusi in favore di ditte controindicate”. L’ispezione prefettizia ha puntato i raggi x soprattutto su urbanistica ed edilizia, in cui ci sono state gravi anomalie. La Dia in sostanza mette nero su bianco che “l’affidamento diretto dei lavori sembra costituire l’escamotage più immediato per favorire le imprese mafiose, altrimenti escluse dalle normali procedure di assegnazione”.
L’Antimafia sottolinea che le caratteristiche di cosa nostra trapanese non sono così differenti da quella palermitana, concentrandosi sugli stessi settori di interesse e sulle stesse modalità operative e organizzazione della suddivisione del territorio.
Quando le famiglie vengono beccate dalle operazioni antimafia in provincia di Trapani, come a Palermo, scatta il tourn over dei vertici ma sempre più in maniera difficoltosa, con lo Stato pronto ad azzerare tutto.
Ma anche se in provincia di Trapani vige la politica del silenzio, del basso profilo, della sommersione, l’organizzazione “è tuttora vitale e lo è ancor più nella zona di Trapani continuando a manifestare dinamismo, operatività ed una certa potenzialità offensiva, non disgiunte da un controllo del territorio esercitato anche attraverso le estorsioni, gli atti intimidatori e i danneggiamenti a seguito di incendi”.
Elementi che sono stati riscontrati, ad esempio, nell’operazione Freezer, tra Alcamo e Castellammare. In quel blitz sono state arrestate diverse persone tra cui il capo della famiglia mafiosa di Alcamo. Da quel blitz è emerso che è ancora attivo il sistema delle estorsioni ai danni di imprenditori locali, nonchè “il tentativo di infiltrazione di cosa nostra nel libero svolgimento delle elezioni amministrative del posto, tenutesi nel mese di giugno del 2016”. Quell’operazione venne chiamata freezer perchè i summit si tenevano nella cella frigo di un negozio di ortofrutta ad Alcamo.
Un’altra importante operazione antimafia è “Visir”. Qui sono stati svelati ruoli e gerarchie all’interno del mandamento di Mazara del Vallo, “in particolare della famiglia mafiosa di Marsala (caratterizzata anche da conflittualità interne tra i suoi affiliati), documentandone le relazioni con le altre famiglie trapanesi (in particolare quella di Salemi) e con i mandamenti di Alcamo e di San Giuseppe Jato”. L’indagine ha portato all’arresto di 14 soggetti affiliati alla famiglia di Marsala ed a quella di Mazara del Vallo, i quali, oltre ad infiltrarsi negli appalti pubblici e privati del circondario di Marsala, ricorrevano a metodi intimidatori per estorcere denaro in favore degli associati.
Un altro punto è lo spaccio di stupefacenti e il favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Nell’operazione Scorpion Fish, ad esempio, sono stati arrestati 17 componenti di un gruppo criminale internazionale operante fra Firenze e Trapani, capeggiato da pregiudicati tunisini e con elementi italiani in posizione subordinata, dedito al contrabbando di tabacchi lavorati esteri e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lungo le rotte marittime che collegano le coste del trapanese alla Tunisia. Per la Dia non ci sarebbe il diretto coinvolgimento di Cosa nostra, ma sempre di organizzazioni criminali si tratta.



Antimafia | 2024-06-04 13:26:00
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