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29/04/2018 06:00:00

"Sami blood", un film straordinario sul tema dell'identità

 Non ho figli. In questa nostra società post/tutto credo sia una situazione comune forse anche accentuata – negli ultimi lustri –, da una serie variegata di motivazioni. Biochimiche, congiunturali, di polluzione ambientale. Magari anche socioculturali.

Nel mio caso, il sangue si è fermato; ha deciso, geneticamente, di porre una pausa alla mia discendenza. E, a farci idea e caso di pensamento, il mio cognome, la mia ‘gens’ direbbe qualcuno, è pronta per l’estinzione. Cinque discendenze maschili non hanno, finora ma non penso potranno farlo in seguito, consegnato ad un ‘xy’ la loro eredità di nomica paterna.

Sarà normale, allora, che uno come me si guardi un po’ indietro, inizi seriamente a pensare che esista – nella vita come nella morte, anzi che vivi e morti siano alla fine un’unica cosa –, una dignità degli antenati, una procreazione all’inverso (per quanto questo suoni davvero buffo!), per cui valga la pena ridiscendere i gradini delle derivazioni paterne e materne e rifondare la conoscenza – innanzitutto – di se stessi.

In un tempo in cui siamo spiati pure quando dormiamo ed in quanto tali poi spersonalizzati appena aperti gli occhietti, il lento e claudicante progetto di riprendersi un po’ dell’identità propria che, pare appartenerci e che invece è più volatile dell’elemento chimico più volatile , chissà poi dove può condurci.

Magari spingerci verso asserzioni autentiche. ‘Divisive’, come odiosamente si ripete in giro.

Tutti i popoli (tutte le culture), hanno provato sulla loro epidermide l’abuso razziale – in fase attiva e passiva –, l’emarginazione, lo sconforto di essere deprivati di mezzi e di fini vitali o il diabolico progetto di accaparrarsi delle risorse (fisico/mentali) di altre comunità. Siamo tutti stati un po’ carnefici ed un po’ carne da laboratorio; chi più e chi meno. Non starò qui a fare le hit parade dell’orrore, sia ben chiaro. Una volta lessi di comunità ‘aperte’ e di comunità ‘chiuse’; le prime si espandono, tendono a moltiplicare il loro impatto sull’ambiente e a declinare da sé i ritmi della storia. Le seconde quasi si appiattiscono, invece, sul pianeta e sui cicli della vita e ad essi si confanno. Le nostre comunità occidentali, capirete bene da soli in quale delle due categorie si collocano.

Il film che Tp24 ha scelto per voi questa settimana, è devastante. Interessantissimo nella sua gravità umana. Un perfetto esempio di cinema ‘morale’ che illustra come – e quasi incredibilmente –, poco meno di un secolo fa, nella linda ed evoluta Svezia, degli uomini considerassero altri uomini poco più (o poco meno) di bestie da ammansire e marchiare a sangue. Un film ‘utile’.

Perché, sia che si figli o non si figli nel lungo conto delle generazioni, ci si accorga in tempo cosa si è diventati nel grande meccanismo della Storia. Carnefici o carne da laboratorio. Oppressori od oppressi. ‘Svedesi’ o ‘lapponi’. Presunti uomini o presunti non-uomini.

 

Buona domenica, buona visione ed al prossimo film!

 

Marco Bagarella

 

 

 

Dicono del film

 

Splendido racconto di formazione contenuto in un intenso flashback (la Cristina/Elle Marja ormai anziana che si reca al funerale della sorella ed è letteralmente costretta a ricordare), “Sámi Blood” è una riflessione di straordinario acume sul tema dell’identità.

Costretta a guardarsi con l’occhio degli altri, la povera Elle Marja vive sulla propria pelle il disperato calvario di scoprirsi, passo dopo passo, simile all’immagine abietta riservata a quelli come lei. Desiderosa di affrancarsi dalla sua condizione, non trova altra strada che il ripudio delle proprie origini, il battesimo sacrificale nelle acque di un fiume che la lavi dei suoi odori e dei suoi colori per restituirla all’altro in una forma che possa essere accettata.  L’abiura traumatica della propria tradizione è reso tutto nel percorso che va dalla terribile visita medica che ne certifica le origini lapponi sulla base dei soli tratti somatici alla speranza che basti il cambio di un vestito a farla passare per svedese alta e slanciata. E intorno a questo cuore poetico denso e dolente, si incrostano tutta una serie di riflessioni sul rapporto con l’altro che passano per le contraddizioni dell’animo umano; come nella scena in cui, ormai accettata a scuola, Elle Marja si ritrova con le compagne a prendere in giro il modo di vestire di alcune passanti in un passaggio di consegne che allude alla facilità con cui la vittima di un pregiudizio non esiti a passare dall’altra parte. Quanto facile sia, privandosi di ogni forma di empatia, cercare di essere accettata in un contesto cui pure non si appartiene.

Autentico dramma di un’anima in cerca di se stessa, “Sámi Blood” è un film molto bello in cui colpiscono soprattutto gli attori più giovani; dalle sorelle Lene Cecilia Sparrok (Elle Marja) e Mia Erika Sparrok, fino al Niklas interpretato da Julius Fleischanderl.

 

(Alessandro Izzi)