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25/06/2018 10:54:00

Contro la retorica del dubbio

Se si incomincia a dubitare della propria moglie, si dice in un racconto di Singer — Isaac Bashevis Singer — si finisce per dubitare delle Sacre Scritture. Non è solo una battuta. L’opera del grande narratore yiddish, che ho conosciuto bene — uno dei grandi incontri della mia vita — è una ricerca di verità permeata dal senso profondo della sua forse inattingibile conoscenza, ma anche della sua misteriosa realtà. Molti dei personaggi di Singer sono ricercatori della verità — spesso falliti ma, nel momento estremo di tale fallimento, sono, forse senza saperlo, dinanzi ad essa. Quell’ironica esortazione a non dubitare, smentita da tanti protagonisti dei suoi racconti e romanzi, va presa sul serio. Anzitutto c’è dubbio e dubbio. Ovviamente Singer non ha nulla a che vedere con la presuntuosa pretesa di conoscere e possedere la verità, pretesa madre di tanti dogmatismi e anche di intolleranze e di persecuzioni nei riguardi di chi non la condivide o ne dubita. Ma Singer non ha nulla da spartire con la retorica del dubbio, ora più che mai imperante nelle forme più banali, retoriche e stereotipe.

Il dubbio creativo non è ottusa e arrogante indifferenza alla verità, indifferenza che ora sembra obbligatoria per essere considerati evoluti, al passo con i tempi e di mente criticamente aperta. C’è una banale celebrazione del dubbio come del relativismo, inteso non già quale necessario ingrediente nella ricerca della verità e quale correttivo della presunzione di averla raggiunta e di possederla, bensì quale indifferenza. Atteggiamento analizzato da Tito Perlini in uno splendido saggio. Io sono antisemita, tu no, ognuno di noi due ha la propria opinione, parimenti da rispettare. Orrenda e stupida falsificazione della tolleranza. Nella parabola dei tre anelli ripresa da Lessing nel suo dramma Nathan il saggio — capolavoro dell’Illuminismo, della libertà di coscienza e dell’autentica tolleranza — si parla di tre anelli, che simboleggiano le tre grandi religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islamismo. Uno degli anelli è quello autentico, originale; gli altri due sono imitazioni perfette — dice la parabola — indistinguibili da quello vero. Non è dunque possibile sapere quale sia la verità, che si può intravvedere soltanto di riflesso, nell’umanità di chi lo porta al dito; chi si dimostra più umano, più capace di amore e comprensione verso gli altri, più aperto è — dei tre — colui che verosimilmente ha al dito l’anello vero. Ma l’impossibilità di conoscere la verità non ne nega l’esistenza. Essa, dice Lessing, appartiene solo a Dio, mentre il compito dell’uomo è quello di ricercarla, di avvicinarsi il più possibile a essa.

La verità non si può guardare direttamente, perché è insostenibile, accecante, come nell’episodio evangelico della Trasfigurazione. Kafka, ossessionato dall’idea della verità e della sua inafferrabilità, diceva che solo la smorfia sul viso abbagliato che si ritrae dalla sua vista è vera. Soltanto nel suo multicolore riflesso, si dice nel Faust di Goethe, possediamo la vita. In questo cammino della mente e del cuore il dubbio ha un ruolo essenziale, necessario. Non il dubbio sterilmente e arrogantemente autocompiaciuto o quello smarrito in un’incertezza psicologica bensì il dubbio quale consapevolezza autocritica dei propri limiti e delle proprie insicurezze. In questo senso il dubbio è il sale, l’essenza, il motore di ogni ricerca del pensiero; è anzi lo stesso pensiero. Se dubito, afferma Cartesio, penso, e se penso sono. Attraverso l’uso sistematico del dubbio si raggiunge un’evidenza certa e indubitabile; dubbio quale via alla verità. Il dubbio metodico — secondo Cartesio, ma già secondo Sant’Agostino — è una bussola della ragione nel suo viaggio verso la verità; è dunque il contrario del dubbio assoluto, dello scetticismo a oltranza professato da antichi e moderni, sin da Pirrone, contemporaneo di Alessandro Magno, e dai suoi discepoli, per i quali le cose sono senza misura e indiscernibili e non sopportano alcuna affermazione nei loro confronti bensì solo l’afasia, il silenzio, e inducono, quale atteggiamento, alla sospensione di ogni giudizio e all’atarassia, l’imperturbabile indifferenza che è l’unica felicità. Essere «senza opinioni», senza inclinazioni, senza turbamenti. Il dubbio assoluto degli scettici a oltranza, il pirronismo e altre scuole analoghe, è stato respinto proprio dal filosofi che hanno affermato e seguito il «dubbio metodico», considerandolo necessario alla ricerca della verità, a sua volta tappa di ulteriore ricerca di una verità più completa. Il pensiero, per Cartesio, possiede una certezza originaria di fronte a se stesso. La grande letteratura barocca ha fatto capire per sempre che la vida es sueño, la vita è sogno, e che di tutto si deve dubitare, ma l’io che dubita, che sogna, che pensa, sa in tal modo di esistere.

La ricerca della verità richiede pure l’abbandono di ogni certezza spontanea e di ogni sapere ricevuto, in particolare di ogni pregiudizio, ma alla fine del rigoroso processo conoscitivo la verità si impone all’intelletto dell’uomo. La scoperta che l’uomo fa della propria esistenza, di se stesso come essere dubitante e pensante, perviene — secondo Cartesio — all’idea di Dio e alla dimostrazione della sua esistenza. A ciò sono collegate le dimostrazioni delle verità intrinseche delle conoscenze matematiche. Come sappiamo, il dualismo assoluto di Cartesio fra res cogitans e res extensa e le sue conseguenti teorie sull’anima e la corporeità, la biologia e la fisica, la materia e il pensiero sono state criticate, ad esempio da Newton e da Leibniz. Ma Cartesio ribadisce con forza che nessuna nozione umana può sottrarsi al dubbio, punto di partenza per giungere ad ogni verità ulteriore. Secoli più tardi, Husserl ribadisce la necessità di sospendere la validità di ogni teoria e di ogni giudizio e preconcetto. Husserl afferma l’epoché, la sospensione di ogni convenzione sino all’evidenza sensibile, che può essere colta e affermata solo con la pura descrizione fenomenologica. Così, si può aggiungere, i fiori dei campi che Gesù invita a guardare nella loro semplicità più gloriosa del fasto di Salomone, non ammettono dubbi. Semplicemente sono. La scienza moderna, secondo Husserl, ha soffocato questa evidenza sensibile delle cose e della vita, già tanto cara a Goethe; la psicologia positivista ha ridotto, ha reciso o fatto appassire quei fiori, tendendo a ridurre pure l’individuo a mera cosa. 

 

Claudio Magris in 'Il corriere della sera' del 24 giugno 2018