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14/02/2019 06:00:00

Salemi. Liceo Classico, la “rivoluzione culturale” del comitato studentesco

Un comitato studentesco promotore di eventi di grande spessore culturale e in controtendenza al passato, ci sembra il modo migliore per celebrare l’ottantesimo anno di vita del Liceo Classico Francesco D'Aguirre di Salemi.

Se pensiamo alla sua storia, con i suoi ricorrenti chiari e scuri, fin sul nascere, lo sbocciare di questo gruppo di giovani ci appare come un fresco soffio di primavera.

Come e’ noto, a fondare il Liceo fu Vito Alberto Spedale, un docente di lettere, appartenente ad una delle famiglie più in vista del paese.

Per avviarlo, nel 1938,  mise a disposizione del nascituro Istituto scolastico competenze acquisite in una sua precedente esperienza scolastica nella vicina Alcamo, energie innovative e persino alcune aule situate all’ultimo piano della propria abitazione, una vecchia casa patrizia già appartenuta al principe di Pandolfina.

Ma la sua presidenza, come tutte le cose positive a Salemi, durò poco. Le cronache del tempo non ci raccontano cosa avvenne di preciso.

E’ipotizzabile una sorta di congiura di palazzo con il beneplacito dall’establishment cittadino. A qualcuno, molo probabilmente, non andava  a genio lo spirito liberale del personaggio, anche se di fede cattolica.

Dopo  pochi anni al vertice dell’Istituto siederà un frate cappuccino.

Si trattava del quarantunenne monrealese Maurizio Damiani, un monaco che sebbene avesse fatto voto di povertà rimase tuttavia ricco di temperamento e ambizioni.

Ad assumerlo, fin dalla fondazione del Liceo, era stato lo stesso Vito Spedale come docente di latino e greco.  

Ben presto il giovane grecista fra’ Maurizio troverà il modo di dimostrare la sua gratitudine riuscendo a scalzare dalla carica il sessantenne Vito Spedale dalla carica, forse agevolato dal sindaco del tempo Salvatore Cognata.

 

Impossessandosi del comando dell’Istituto,  esercitò il suo ruolo in assoluta solitudine con modi e sistemi personalistici durato oltre un trentennio.

Durante il quale si aprivano le porte a studenti di mezza Sicilia in cerca dell’agognato diploma, negato loro dai licei statali, mentre parte del convento si trasformava in  un convitto studentesco.

Dalla triste vicenda il fondatore del liceo Gaspare Vito Spedale ne uscì umiliato e dimenticato da tutti. Nessuna amministrazione comunale, nell’arco di questi 80 anni, ne ha ricordato ufficialmente il merito.

Nessuna targa, una qualsivoglia epigrafe a futura memoria, nessuna traccia del suo nome nel folto e dottissimo stradario cittadino.

Tutto il contrario del trattamento riservato a Maurizio Damiani, sia in vita sia dopo la sua scomparsa. Effetti di un’egemonia politica e culturale esercitata su diverse generazioni  di insegnanti e allievi.

Tutti allineati e guai a uscire fuori dai ranghi.  Per non parlare del ritardo con cui si ottenne la statalizzazione dell’Istituto. Conveniva a tutti. Preside, docenti, e allievi.

Altro caso emblematico. Il veto opposto all’assunzione del nuovo segretario d’Istituto, nonostante il soggetto avesse vinto un regolare concorso indetto dal Comune.

Poi una lunga serie di replicanti, senza storia, ma privi del medesimo carisma. E diversamente non poteva essere,  essendo stati allevati in quell’humus conformista.

Solo da pochi anni e’ in corso una inversione di tendenza. Le finestre sono state spalancate. Si respira aria nuova. Le “Notti” ne sono una testimonianza plastica. Una nuova generazione di insegnati e allievi ne fanno la differenza. Stanno spazzando il bigottismo imperante per lustri. L’unico modo per arrestare il salasso di iscrizioni.

La nascita e l’attivismo del Comitato studentesco va in questa direzione.

Un lavoro di questi ragazzi a trecentosessanta gradi. Che va oltre le aule del Liceo, che guarda al territorio e alla società. Un’autentica rivoluzione culturale, come

Le iniziative in cantiere sono tante e di qualità. Tra le più recenti, il coinvolgimento di un nutrito gruppo di appassionati in uno spettacolo shakespeariano al Teatro Biondo di Palermo e, qualche giorno fa, l’incontro  con la scrittrice Helena Janeczek vincitrice del premio Strega 2018 con  “La ragazza con la Leica”.

Merito della dirigente scolastica Francesca Accardo, ma soprattutto, come lei stessa ha ammesso, degli alunni.

Più precisamente, noi diciamo, merito del Comitato Studentesco i cui animatori  sono Valentina Gandolfo e Filippo Triolo.

"Questo evento”, ci hanno precisato, “e’solo il primo di una lunga serie di eventi culturali organizzati dal comitato studentesco, che vedranno il liceo classico "D'Aguirre" ed un gruppo di ragazzi come promotori di una rivoluzione culturale che interesserà l'intero territorio, non mancheranno altre presentazioni di libri, ma anche spettacolo teatrali, conferenze e visioni di film."

Ottima la scelta di iniziare con uno struggente libro che ripercorre la biografia  breve ma intensa della giovanissima e combattiva Gerda Taro, la cui immagine rimarrà indelebilmente impressa nella mente e nel cuore del lettore.

Nata in una famiglia di ebrei polacchi a Stoccarda trascorre l'adolescenza a Lipsia dove subisce un arresto solo perché sospettata di aver partecipato alla distribuzione di volantini antinazisti. Quando si trasferisce a Parigi si mantiene dividendosi tra il lavoro di segretaria e quello di modella, ben sapendo però di voler diventare una fotoreporter.

Gli uomini si innamoravano spesso di lei, ma nella sua breve esistenza (morì nel 1937, a Brunete, durante la guerra civile spagnola, poco prima di compiere ventisette anni) fu soltanto uno a conquistarla: Endre Friedmann.

Era un giovane fotografo di venti anni scappato per ragioni politiche dall'Ungheria fascista di Horthy. A Parigi e’ Gerda  a costruirgli una nuova identità. Si inventa un personaggio, un fotografo americano ricco, di passaggio in Europa e con un nome– Robert Capa – che doveva rimandare al famoso regista italo–americano Frank Capra.

Dopo l’introduzione di Lino Buscemi, che ha citato una parte di una recensione di Roberto Saviano, e’ stata la volta di Filippo Triolo con un’inquietante considerazione: “Oggi mi faccio portavoce di una generazione, la mia, a breve chiamata a votare, già da quest’anno o negli anni a venire, per decidere il proprio presente ma soprattutto il proprio futuro. In un'epoca in cui l'attuale classe politica mondiale viene criticata di razzismo, xenofobia, neo-fascismo, ma più la si critica più vola nei sondaggi e nei risultati elettorali la mia domanda, che rivolgo ad entrambi é la seguente. Si esagera a parlare di fascismo, quando in realtà il rischio di un ritorno non esiste? Ipotesi, questa, che tenderei ad escludere visti i fatti all’ordine del giorno, vista la cronaca. Allora, siamo un popolo che ignora la Storia, che ignora le conseguenze, un popolo che ha la memoria corta, quindi siamo un popolo di ignoranti? O siamo un popolo che ha insito nella sua natura questo “virus” del fascismo, perché come scriveva Swift, l'uomo é l'essere più abominevole, e quindi siamo fascisti? A voi la risposta”.

La  scrittrice Helena Janeczek si e’ limitata a sostenere che l’unico modo di tentare di salvarsi dalla barbarie  e’ l’affermazione e la rivendicazione di una qualsiasi forma di libertà, e di essere sempre informati, di  leggere, informarci. Occorre vincere l’ignoranza ed essere sempre vigili e lottare contro ogni forma di nuovo fascismo che  si ripresenti.

 

Interessante anche la riflessione della studentessa Giorgia Blunda  chiedendosi ad alta voce quanto e quando una scrittrice per raccontare le sofferenze e le vicissitudini degli altri basti l’ispirazione o se sia necessario averle vissute direttamente.

 

Helena Janeczek ha precisato di non somigliare affatto alla protagonista perché Gerda “ è nata coraggiosa, mentre io il coraggio ho imparato a tirarlo fuori solo dopo molto tempo. Ho deciso di raccontare la sua storia perché è il simbolo di una donna libera e indipendente che ha creduto nelle sue convinzioni.”

 

Gerda, non era una “ribelle”, come qualcuno erroneamente ha sostenuto e subito corretto dalla scrittrice. Gerda era un’autentica rivoluzionaria e antifascista, che credeva nella liberta’ e nell’emancipazione della donna e delle classi sfruttate.

 

Ignorarlo, sarebbe come assassinarla due volte

 

Franco Ciro Lo Re