Quantcast
×
 
 
01/09/2019 06:00:00

Il fenomeno migratorio spiegato in tre punti

Parlare di immigrazione sembra impopolare, è un fenomeno che pochi hanno avuto l’accortezza di spiegare bene per scongiurare la paura del diverso, di quella che viene chiamata “invasione”.


Proprio oggi siamo chiamati, tutti, nessuno escluso, ad operare delle scelte forti che non riguardano le idee o, peggio, le ideologie politiche, ma riguardano la sensibilità e l’umanità.
Quando si parla di immigrazione lo si fa solo con accezioni negative: l’Africa come problema da combattere.
E’ bene sfatare alcuni luoghi comuni.

IL VIAGGIO
Chi parte ha bisogno di aiuto, fugge da guerre che portano con sé non solo fame e carestia ma torture, stupri, prigionia, sofferenza fisica e psicologica.
Chi parte non va in crociera, così come i qualunquisti vorrebbero farvi intendere. Si mette su una barca, va in navigazione, si tratta spesso di minorenni, di bimbi, di donne incinte. Lo fanno con ogni clima, avverso o meno. Potrebbero restare a casa propria? No. Restare significa continuare a subire le torture e gli stupri, significa morire. Allora tentare la via del mare, rischiando la vita, è l’unica alternativa per darsi una opportunità di luce e di riscatto.
Dimenticheranno quello che hanno lasciato? No, non si dimenticano le ferite, specie quelle dell’anima. Si tenta di tornare alla vita, piano piano.


ACCOGLIENZA E SOCCORSO
Possiamo accoglierli tutti? No. Possiamo e dobbiamo soccorrerli, farli sbarcare e assicurare loro un corridoio umanitario che li faccia essere uomini e donne liberi e con piena dignità.
Abbiamo assistito in questi ultimi giorni allo sbarco di molti bambini piccoli dalla Mare Jonio, il loro passaggio da alcune braccia ad altre ha stretto il cuore, le onde erano alte due metri. Lo hanno definito il “Trasbordo della vergogna”, il termine è infelice. Trasbordare persone rende il senso di una incapacità a farsi uomini e donne sensibili, a tendere la mano a chi ha meno di un anno.
In molti sostengono che si tratta di un problema, non è così. Gli esseri umani, di qualunque razza, non possono mai costituire un problema. Serve una cooperazione europea e internazionale che possa ridistribuire i migranti nei vari Paesi affinchè poi possano essere inseriti nel mondo del lavoro e nel sistema sociale. L’Italia che è, per connotazione geografica, protagonista del fenomeno ha il dovere di contribuire in maniera decisiva al dialogo.
Governare le migrazioni è fondamentale, chiudere i porti è da fanatici disumani.
Bisognerà concentrarsi sulla rivoluzione culturale: nessuna paura del diverso perché il diverso non esiste.
Ci sono esseri umani che fuggono da guerre e carestie, che vanno integrati nel mondo scolastico e del lavoro, perché l’Europa ha bisogno di loro. Senza filtri, senza mitomanie, senza slogan.
INTEGRAZIONE vs INVASIONE
Abbiamo tante volte sentito dire che vengono qui e rubano il lavoro agli italiani, si tratta di un’altra falsità.
Occupano, semmai, dei segmenti di lavoro che gli italiani non occupano per mancanza di capitale umano, si eviterà così la crisi grave di alcuni settori come la pesca, l’agricoltura, l’artigianato, solo per fare qualche esempio.
La riduzione delle nascite, in Italia come in Europa, e l’invecchiamento della popolazione creerà a breve raggio un blocco delle attività produttive. Solo nel nostro Paese la riduzione sarà circa del 35%, con chi sostituiamo la forza lavoro se non ci sono nuove generazioni o se quelle che ci sono da sole non basteranno?
E la frase che impera sui social “Siamo invasi” è falsa, volutamente falsa. L’Italia è in Europa il Paese con il più basso numero di immigrati, chi arriva non vuole restare e preferisce il resto dell’Europa, specie quella del Nord.
E allora c’è solo da capire che quello che è deficitario è l’approccio culturale, oltre che politico, al fenomeno. C’è un interesse semmai, ed è europeo, di sviluppo economico che metta in circolo i reciproci vantaggi: settori produttivi che scongiurano la crisi, collocazione dei migranti, cittadini italiani garantiti nelle prestazioni dei servizi del welfare.