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12/12/2019 04:00:00

Il Marsala e Marco De Bartoli. Uno dei più grandi vini che può invecchiare per secoli

 Dietro il cancello del baglio, l’antica masseria di famiglia nella contrada Samperi, c’è ancora la fuoriserie parcheggiata in mezzo alle aiole fiorite, come una statua. Immobile da quel pomeriggio di marzo 2011, quando tutto è cambiato laddove il tempo sembrava non dovesse esistere. “Le macchine erano la passione di mio padre”, racconta Giuseppina De Bartoli, per cui quello che qualcuno chiama “vino madre”, il Marsala, era un genitore totale e carismatico, imponente fin dalla stazza fisica. “Era stato pilota professionista di rally nella sua vita precedente, fino a 28 anni, quando è nato mio fratello Renato. Allora ha smesso di correre, sebbene spesso si posizionasse sul podio. Ma le macchine sono rimaste il suo violon d’Ingres: ne conserviamo a decine, perché era un collezionista seriale, a volte solo carcasse smontate; in particolare la Giulietta spider, la sua favorita. Soprattutto negli ultimi anni, quando era amareggiato da troppe ingiustizie, fungevano da valvola di sfogo. Allora si chiudeva in garage con i suoi amati pezzi di ricambio”. Ma fuori c’è perfino una pompa di benzina vintage, perché andava sempre in cerca di cose strane da recuperare nei mercatini dell’usato.

Lo raccontano gli attrezzi contadini raccolti in un passaggio, che prelude alla fuga verticale delle vecchie botti di perpetuo. Maestose come un organo. Più che un museo, una Wunderkammer di ferraglie in parte ereditate dai nonni, in parte scovate presso altri produttori. “La famiglia di mio padre produceva Marsala a livello industriale, lui ci aveva anche lavorato come commerciale”, prosegue Giuseppina. “Ma la sua idea era un’altra: abbandonare il vino come commodity per tornare all’artigianalità; ricondurre il Marsala ad un’identità territoriale, fuori dalle logiche dei grandi numeri. Adesso parlare di vitigni autoctoni e lavoro in vigna suona quasi banale, ma 40 anni fa, in una zona dove la produzione era fortemente industrializzata, non era affatto facile. 

“A un certo punto, abbandonati la carriera di pilota e il lavoro d’ufficio, mio padre si è reso conto che il territorio poteva dare ben altro. Allora ha preso in mano il baglio dei nonni, grandi proprietari terrieri che facevano vino da tradizione familiare in mezzo alle vigne, su uno zoccolo di calcare che si può vedere qua fuori. Perché in zona tutti avevano le botti, per autoconsumo o per vendere alle industrie la base del Marsala, cui aggiungere alcol e mosti vari. Ma lui voleva preservarlo, quel vino, non trasformarlo. Tornare alla nostra autentica storia vitivinicola, antecedente il Marsala doc e perfino il 1773, anno della spedizione di John Woodhouse e della nascita della tipologia fortificata, che gli aveva cambiato i connotati per assimilarlo al Madeira. Quello che voleva, insomma, era far conoscere il perpetuo che si produceva qui per tradizione con il suo sistema di botti scolme, da cui il vino pronto si prelevava e si rabboccava con quello nuovo, all’infinito, mantenendo un’età media costante e caratteristiche organolettiche omogenee. Un Marsala fuori denominazione la cui gradazione naturale è sempre stata importante, sui 16-17 gradi senza aggiunte. Quando nel 1980 l’ha imbottigliato con l’etichetta ‘Vecchio Samperi’, però, non ha inventato nulla: piuttosto ha dato valore a qualcosa che esisteva da sempre”.

Armando Castagno l’ha definito “una specie di tracciante luminoso che, sparato idealmente a metà Settecento o persino prima, a un certo punto esplose nel cielo di quegli anni”. Il revival di un Marsala pre british, nuovo anzi antichissimo, autenticamente territoriale nel metodo di produzione e nella purezza della composizione, vino di Marsala, insomma, anziché prodotto lavorato, fece scalpore sulla stampa nazionale e divenne presto un caso, attirando l’attenzione di Luigi Veronelli, che incluse il ritratto di De Bartoli fra I Vignaioli Storici nel 1989. Parole che emozionano ancora oggi, in quest’epoca di nani sulle spalle dei giganti. “Ha l’irruenza solare della sua terra: quando lo incontri vorrebbe raccontarti tutto in pochi minuti, e farti assaggiare tutto, spiegarti la sua gioia e la sua soddisfazione per giudizi positivi al suo vino e insieme vorrebbe esprimerti la sua rabbia per come viene considerato il vino del sud e si fa meridionalista, e poi, all’improvviso, s’adombra contro gli uomini della sua stessa terra che hanno trasformato il nome marsala, per decenni in una parola volgare”. Se non addirittura in un ingrediente di cucina, visto che dalle cantine parte tuttora un fiume ambrato diretto agli stabilimenti della Simmenthal. Il Vecchio Samperi no, però. “Un vino che non ha nulla cui poterglisi paragonare. Unico, arrogante, potente, spavaldo, ma senza disarmonie, irripetibile”.

Pochi anni dopo ad affaccendarsi in cantina ci sono già i tre figli: due futuri enologi, Renato e Sebastiano, e Giuseppina, così battezzata in onore della nonna francese. “In casa si parlava di vino e si respirava il Marsala 24 ore su 24: più che un lavoro, una missione. Ma bevevamo raramente le nostre bottiglie, piuttosto il nebbiolo, che era la passione di papà, insospettabile rossista”, racconta.

Nel frattempo De Bartoli continuava a sfrecciare sulla sua amata Giulietta per le stradine sterrate fra i bagli, in cerca di vecchie botti da acquistare. “Gli anni ’70 furono segnati da una profonda crisi, con il tracollo di moltissime aziende. Si dava poco valore al Marsala e ai vini antichi, chi ancora li conservava cercava di disfarsene e mio padre si sforzava di recuperarne più che poteva. Spesso si trattava di madri quasi solide, nere come la pece, sorta di vini liofilizzati che lui andava a restaurare con pazienza artigiana, aggiungendo modeste quantità di alcol nell’arco di un decennio, fino a renderli nuovamente liquidi e potabili; poi li travasava per l’affinamento in grossi recipienti di vetro e li imbottigliava”. Comprese le due basi acquistate dagli eredi del Maggiore Garibaldino Salvatore Amodeo, produttori dal 1837 del Marsala Lilibetano Maximum, datate 1901 e addirittura 1860. Delineano il profilo di “uno dei più straordinari vini mondiali”, così descritto da Armando Castagno: “Si resta, francamente, ammaliati. Trattasi, nella categoria di cui fa parte, di un supremo vertice, in grado di sedersi al tavolo dei più eccelsi Madeira, Porto o Jerez, e senza il minimo timore reverenziale”.

La memoria è tuttavia poca cosa, se si volge solo indietro, ammoniva Lewis Carroll. “In mio padre il rispetto per la tradizione conviveva con una potente spinta all’innovazione”. Da qui Pantelleria, con la riscoperta del passito, quando nessuno più lo faceva, e il lancio nel 1984 del Bukkuram, dal nome della contrada, in arabo “padre della vigna”, dopo aver studiato con il signor Casano la tecnica di produzione tradizionale. Isola con cui De Bartoli non aveva legami particolari, se non la lungimiranza e l’amore per il vino. Poi altre microrivoluzioni, come la pionieristica vinificazione dello zibibbo secco, il Pietranera, datata 1989. “E a quei tempi il vitigno era sinonimo di dolcezza, la gente magari lo acquistava e poi telefonava per protestare”. Oppure la vinificazione del grillo come vino da tavola senza ossidazione, a temperatura controllata, con i Grappoli del grillo nel 1991. Qualcosa che oggi dilaga per tutta la Trinacria, in anticipo sulla voga degli autoctoni. “Ed era innamorato di quell’uva, che poi si è scoperto essere un incrocio di zibibbo e catarratto. Ma lui ancora non lo sapeva”. Un vitigno che è una macchina da zuccheri e da alcol naturale, la cui elevata acidità regala vini longevi.

Nel cuore tuttavia restava sempre lui: il Vecchio Samperi. E da una botticella di perpetuo all’altra, l’innovazione non è andata dispersa con la nuova generazione. Nel 2006 sono arrivati i due macerati da zibibbo e grillo, chiamati Integer; mentre nel 2008 Renato ha messo a punto il suo metodo classico da uve grillo, il Terzavia. Nel futuro poi si prospetta il ripescaggio di due etichette abbandonate: Joséphine doré e rouge, vendemmie tardive da grillo in ossidazione e pignatello fortificato, concepito a suo tempo da Marco con il nero d’Avola per l’abbinamento al cioccolato.

da Reportgourmet.com



Rassegna Stampa | 2024-03-19 17:00:00
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