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10/03/2020 06:00:00

Maxi truffa sui fondi UE. Ecco a cosa serviva la coop di Marsala

 Secondo i pm di Palermo un gruppo di imprenditori e burocrati ha creato un sistema criminale per accaparrarsi i soldi del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale distribuiti dalla Regione Sicilia. E lo facevano grazie a un sistema di false fatturazioni e costi gonfiati.

I finanzieri hanno eseguito 24 misure cautelari: quattro persone sono state condotte in carcere, 12 agli arresti domiciliari e otto sottoposte a obblighi di dimora. Coinvolti nell’inchiesta funzionari della Regione Sicilia e imprenditori accusati a vario titolo di associazione a delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, falso in atto pubblico, rivelazione di segreto d’ufficio, soppressione e occultamento di atti pubblici. A capo dell’organizzazione criminale ci sarebbero i fratelli Giovanni e Francesco Di Liberto, aiutati da un ex funzionario dell’Ispettorato provinciale dell’Agricoltura di Palermo, Filippo Cangialosi.

C'è anche una cooperativa di Marsala tra le aziende sequestrate
nell'ambito dell'operazione della Guardia di Finanza. Si tratta della Cooperativa "Lavoro, Produzione, Benessere", LPB, che ha sede legale in Via Sirtori. Sulla carta dovrebbe occuparsi di allevamento di suini.
La società è, secondo la Finanza, riconducibile ai fratelli Di Liberto Giovanni Salvatore e Di Liberto Francesco di Belmonte Mezzagno (PA), e aveva ricevuto contributi per un ammontare complessivo di oltre 4 milioni di euro, con riguardo alla realizzazione di un complesso agro-industriale nel Comune di Monreale (PA).
Il rappresentante legale della cooperativa è stato arrestato. Si chiama Marco Iuculano, ed è del '71.

La società cooperativa LPB con sede a Marsala, in particolare, sarebbe stata utilizzata per ottenere “indebitamente” contributi pubblici attraverso la “formazione di documentazione falsa e attestazioni non veritiere” nonché l'emissione di “fatture relative a operazioni in tutto o in parte inesistenti necessarie per documentare acquisti, spese, e costi in realtà non sostenuti”.

Legale rappresentante della LPB era Marco Iuculano, che la amministrava secondo le indicazioni dei fratelli Di Liberto, Giovanni Salvatore e Francesco.
Era lui, secondo quanto emerge dall'indagine, ad occuparsi materialmente degli adempimenti amministrativi, tecnici e contabili relativi all'istanza presentata dalla Lpb per ottenere mutui e finanziamenti pubblici da parte della Regeione Sicilia e Irfis.

Oltre ai fratelli Di Liberto e Iuculano, hanno partecipato al “disegno criminoso” per far ottenere contributi pubblici alla ccop di Marsala.
Il trucco era semplice e già collaudato in tutte le truffe sui fondi pubblici. Documentazione di costi superiori a quelli sostenuti per realizzare il programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione. Il gruppo avrebbe attestato falsamente che gli investimenti erano stati ultimati e prodotto documentazione falsa relativa ai pagamenti delle spese sostenute.
La cooperativa dei fratelli Di Liberto avrebbe ottenuto i contributi nell'ambito della misura 121 del Psr 2007/ 2013.

Contributi ottenuti grazie alle fatture false emesse da società riferibili a personaggi della cricca. Ad esempio le società General Tec e Meatech Gmbh hanno staccato, in favore della LPB fatture per circa 6,6 milioni di euro. Fatture emesse per operazioni inesistenti, in quanto “documentano la cessione di beni o prestazioni di servizi mai eseguiti ovvero riportano corrispettivi ed IVA notevolmente superiori rispetto al reale valore delle cessioni”.

Dalle indagini emerge infatti che le operazioni commerciali riportate in fattura non erano mai state realizzate. C
ome ad esempio la fornitura di un “Surgelatore a piastre verticale” di 279 mila euro emessa a favore della LPB dalla General Tec.
Ma quel surgelatore non sarebbe mai stato comprato, come indicano gli inquirenti.


«Giovanni Salvatore Di Liberto confidava a Paolo Giarrusso (finito in carcere), mentre si trovano dentro una Fiat Bravo che a breve l'Ispettorato avrebbe effettuato un sopralluogo e che mancavano alcune cose: "Mi mancano un poco di cose... congelatore a piastra" - si legge nel provvedimento -. Due giorni dopo la questione veniva nuovamente affrontata dai fratelli Di Liberto e sempre all'interno dell'auto. Nel corso della conversazione, gli indagati discutevano del completamento dei lavori presso il capannone della “LPB”, e soprattutto di “cosa capitare” al posto del ''congelatore a piastra”».


In sostanza gli imprenditori avevano l'intenzione di comprare qualcosa che solo «somigliasse» al costoso macchinario,
in modo di non incappare in un controllo. «Quindi, dopo avere contattato telefonicamente diverse persone per cercare di "recuperare” il congelatore a piastre, eventualmente anche non funzionante, un semplice “pezzo di ferro” - scrive ancora il gip -, Giovanni Di Liberto contattava Giuseppe Tomasello per commissionargli la realizzazione di una struttura composta da ''trenta piastre", delle dimensioni di 400x600x100" e dello spessore di un millimetro, ovvero una struttura che potesse sembrare un congelatore a piastre». Dunque un macchinario del tutto fasullo, però somigliante a quello originale. I rfinanzieri registrano tutto ma poi sentono anche Tomasello che confermava il tutto. “Di Liberto mi ha commissionato anche un congelatore a piastre, precisando, anche in questo caso, che doveva essere un macchinario non funzionante, il costo di tali congelatori a piastre è stato di circa 3 mila euro”.
Una bella differenza rispetto ai 279 mila euro documentati per ottenere i contributi pubblici.