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09/06/2020 07:40:00

L'ultima indagine di Alack Sinner

Di noi e della nostra vita, certe volte viene da pensare che non siamo altro che le voci delle persone che abbiamo conosciuto. Non solo di quelle a noi più care, gli amici, i figli, gli amanti; ma di tutte le voci delle persone che abbiamo incontrato, anche accidentalmente, di sfuggita. Ognuna di loro è testimone di un frammento della nostra storia, ognuna di loro può essere decisiva per risolvere le indagini su noi stessi, quelle che tutti, a un certo punto, dotati o meno del fiuto dell’investigatore, sentiamo di dover portare a termine.

Nel secondo, e conclusivo, volume che raccoglie le storie del detective Alack Sinner, L’eta del disincanto (Oblomov Edizioni, pp. 424, 45€), sembra essere questa la traccia da seguire per radunare assieme i capitoli di cui si compone: due tarde investigazioni, la lunga intervista di Goffredo Fofi ai suoi creatori, José Muñoz e Carlos Sampayo, gli inediti e i contributi esclusivi di alcuni dei fumettisti più famosi del mondo - Mattotti, Tardi, Wolinski - sull’importanza di Sinner per la storia del fumetto europeo. Ma soprattutto, a completare l’albo, c’è una sezione intitolata “A proposito di Alack” che potremmo leggere come una sorta di documentario per immagini o di investigatorio di fantasmi: chiunque, lungo la sua strada, avesse avuto a che fare con un tale Alack Sinner, adesso è tenuto a rispondere di quell’incontro. Da sua figlia Cheryl fino all’uomo del banco dei pegni. Sono figure ectoplasmatiche, fatte di pure voci, nessun riflettore puntato addosso, il più delle volte nessuna matita che ne disegni i profili. A intervallarle ci sono i ritratti dell’uomo che ha condizionato il modo che avevano di guardare il mondo.

Tra i fantasmi evocati, appaiono anche Muñoz e Sampayo, che del loro personaggio confessano un aspetto molto affascinante: «Sinner ha saputo adattarsi a qualunque luogo ci venisse in mente, per questo lo abbiamo creato, decidendo per lui molte cose. Ma il suo paesaggio interiore ci sfuggiva e, questo era il bello, lì ha sempre deciso lui». Nelle cose che creiamo c’è sempre una volontà che si sottrae ai nostri desideri e ai nostri pregiudizi, e finisce per rivelare l’autenticità e la sincerità dell’opera. Tutto sommato, ciò che non ci aspetteremmo mai è, in realtà, ciò che veramente stavamo cercando.

A questo proposito, viene da pensare alla prima delle due investigazioni che contiene il volume, Storie private. Sinner si trova di fronte a uno dei casi più difficili della sua vita: sua figlia è stata portata in carcere con l’accusa di omicidio. Dice di “non poter negare di averlo fatto” ovvero non può negare di avere ucciso un ricco imprenditore. L’uso della doppia negazione confonde tutti, compreso Sinner, che non riesce a capacitarsi del fatto che sua figlia possa essere un’omicida. D’altronde, lui lo è stato. Perché lei non potrebbe esserlo?
Quando Cheryl viene scagionata, anche lui si accorge di un “paesaggio interiore” che gli sfuggiva del tutto, un senso etico che superava qualsiasi sua comprensione e che faceva di sua figlia la donna che era. Proprio perché non era la persona che finora aveva immaginato. Uno stupore che si rinnoverà poco dopo, quando Cheryl si rivelerà determinante nell’indagine sulla scomparsa di sua sorella Toni. Tanto da fare supporre un ideale passaggio di testimone, una sorta di eredità.

Nella prima illustrazione di “A proposito di Alack” il nostro oscuro detective osserva la maglietta di una ragazza su cui c’è scritto «Are We All Sinners?». Un divertente gioco di parole dei due autori che in quel “Sinners” sintetizzano la possibilità del peccato, dell’errore («siamo tutti peccatori?») e nello stesso tempo si chiedono se di fronte alla vita non siamo davvero tutti, a nostro modo, Alack Sinner.

La risposta, in entrambi i casi, non può che essere sì.

Marco Marino