Completiamo oggi il nuovo approfondimento sulla requisitoria del pm Paci al processo per le stragi che si sta tenendo Caltanissetta. La strategia di Cosa Nostra agli inizi degli anni 90 è quella di attaccare obiettivi istituzionali, il patrimonio artistico nazionale, e gli uomini delle istituzioni o appartenenti a Cosa Nostra che hanno tradito.
Lo Stato reagisce alla strage Capaci e Via D'Amelio- C’è un dato - dice il pm Paci – che cambia la dinamica della strategia di Cosa Nostra. L’8 giugno del 1992 il Governo emette un decreto legge che approva delle norme che fanno scatenare un dibattito politico e non solo nel Paese. Norme che vengono definite liberticide della libertà, con intercettazioni preventive, carcere duro adeguato, riapertura carceri di massima sicurezza di Pianosa e Asinara. Sono in molti che si oppongono a quel decreto ma il 19 luglio con la strage di Via D’Amelio, quel decreto diventa legge, e mette nero su bianco tutta una serie di norme tra le quali quella del carcere duro.
L'obiettivo è il patrimonio artistico del Paese - Dopo l’uccisione di Borsellino e degli agenti di scorta, viene maturata da Riina e da Cosa Nostra la possibilità di attaccare i monumenti, mirando dunque al patrimonio artistico dello Stato, oppure i luoghi di rilevante interesse turistico, come la spiaggia di Rimini, disseminandola di siringhe infette, o immettendo nel circuito della distribuzione alimentare delle sostanze tossiche.
Ecco cosa dice Vincenzo Sinacori dopo averlo sentito da Messina Denaro: “Con il patrimonio artistico si veniva a colpire una delle principali risorse dello Stato che così poteva trattare, d’altra parte tale strategia di attacco si poteva constrastare perché lo Stato tra 41 bis, i pentiti e gli arresti ci stava massacrando. Solo così potevamo cercare un contatto, con qualche politico, con qualcuno delle istituzioni, solo così poteva venire qualcuno a dirci, perché non la smettete?" Questo mi ha detto Messina Denaro”.
Anche Francesco Geraci che raccoglie le confidenze di Messina Denaro racconta quanto ascoltato dal boss di Castelvetrano: “Ma Tu non credi che facendo questi attentati, non ci sarà qualcuno che va da Riina, per dire mettiamoci d’accordo, che lo Stato dunque scendesse così a compromessi, anche se questo comportava il fatto che decine di persone saltavano in aria". Questo è ciò che riferisce Messina Denaro a Geraci nel primo semestre del 92 e di cui avremo una prova tangibile se non drammatica nell’ottobre del 92, quando nel giardino dei boboli a Firenze viene rinvenuto un ordigno bellico, lasciato lì da Santo Mazzei su sollecitazione dei Trapanesi, perché la cosa era stata discussa a Mazara del Vallo alla presenza di Totò Riina.
Le opere d’arte, una prima trattativa, il suggeritore Paolo Bellini - La figura di Paolo Bellini è collegata a Messina Denaro. Vediamo chi è e come entra in contattato con Cosa Nostra. E’ un personaggio strano, un avventuriero, un faccendiere che si lega alla ’Ndrangheta, che va latitante in Brasile, in Portogallo, che va in carcere in Italia con un nome falso (Roberto Da Silva), uno che ha fatto di tutto nella vita, e che è stato indagato con Licio Gelli per la strage di Bologna, ed è imputato attualmente per la strage alla Stazione di Bologna. Bellini conosce negli anni 80 nel carcere di Sciacca, Antonino Gioè. Nasce un’amicizia, poi continuano a scriversi e Bellini nel 91 dice di ricordarsi di Gioè perché lo potrebbe aiutare nel recupero crediti da alcune aziende siciliane. Si ricrea questo rapporto e tra le varie cose ci si mette in mezzo anche la sua passione per le opere d’arte rubate.
Gli attentati proposti da Bellini, l'attacco alla Torre din Pisa e le siringhe in spiaggia - Bellini, emiliano, chiede a Gioè di far ritrovare delle opere d’arte rubate alla pinacoteca di Modena. Bellini dice che lavora per conto di un ispettore di polizia, poi conosce un certo maresciallo Tempesta che si occupa del recupero di opere d’arte rubate e Bellini fa capire al maresciallo di infiltrarsi negli ambienti mafiosi siciliani. A quel punto Tempesta cerca di utilizzare queste conoscenze all’interno del circuito malavitoso siciliano. Il maresciallo consegna in una bista del ministero dei Beni Culturali, alcune fotografie delle opere rubate. Bellini mostra le foto a Gioè ma dice che non è in grado di recuperarle, ma fa una controproposta, dicendo di fargli avere delle opere più importanti se lui riuscirà a liberare alcuni personaggi di primo piano di Cosa Nostra, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Luciano Liggio, Pippo Gambino. Nomi scritti in un biglietto da Gioè e mostrati al maresciallo Tempesta che lo consegnerà al generale Mori. A Bellini vengono consegnati delle fotografie di opere d’arte, che arrivano a Tempesta e poi a Mori. Gioé dà indicazioni sull’esistenza di questo legame e a questo viene dato l’ok da Riina.
Ma Bellini con Gioè parla anche della possibilità di poter far saltare la torre di Pisa, come di usare le siringhe nelle spiagge di Rimini. Gioè stesso ha dei dubbi sulla figura di Paolo Bellini e gli chiede se fa parte dei servizi segreti. Bellini è un uomo che è imbrattato di ambienti sporchi. Il punto centrale è questo. Brusca definisce Bellini un suggeritore, dice che l’idea della Torre di Pisa, delle siringhe viene proposta da Bellini, e Brusca e gli altri ritengono che Bellini sia uno dei servizi. L’idea dell’attacco al patrimonio artistico ha una origine che certamente non è solamente degli uomini di Cosa Nostra.
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