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19/08/2020 06:00:00

Stragi del ’92. Alla riunione di Castelvetrano c’era Matteo Messina Denaro o il padre?

 Chi c’era a rappresentare Cosa nostra trapanese in quella riunione del 1991 a Castelvetrano in cui vennero decise le stragi del ’92 e del ’93?

Nella lunga requisitoria del pm Gabriele Paci al processo di Caltanissetta, dove Matteo Messina Denaro è imputato per le stragi di Capaci e via D’Amelio, l’incontro dell’ottobre del 1991 riveste un’importanza fondamentale.

 

Se i trapanesi avessero detto di no, rifiutandosi di mettersi contro lo Stato, Riina non avrebbe potuto contare su di loro.

Paci, nella sua requisitoria, sottolinea come dopo le stragi, i corleonesi non avrebbero più potuto trasferirsi tranquillamente, come hanno fatto, a Mazara, a Castelvetrano o a Castellammare.

Senza il consenso dei trapanesi, e in particolare di Matteo Messina Denaro, Riina non avrebbe potuto fare le stragi e la guerra allo Stato così come l’aveva pensata nell’estate del ’91.

Ed è proprio nell’occasione di quella riunione che nascerà il saldo legame tra il boss di Castelvetrano e i fratelli Graviano. Una fratellanza che sarebbe stata sugellata, come riporta il gioielliere Geraci, da un regalo: un girocollo da 50 milioni di lire che Matteo Messina Denaro fa a Giuseppe Graviano.

 

La tesi, supportata dalle testimonianze di diversi pentiti, è quindi che sia stato Matteo Messina Denaro, presente a quella riunione al posto del padre Francesco, a dare l’ok alla strategia stragista.

E di riscontri su quella riunione si stava occupando, proprio su mandato di Gabriele Paci, il colonnello della Dia di Caltanissetta Marco Alfio Zappalà.

Quest’ultimo era in contatto con Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che con il Sisde aveva cercato di far catturare il latitante nei primi anni del 2000.

I due erano arrivati ad identificare un testimone chiave di quella riunione, che avrebbe confermato la presenza di Matteo Messina Denaro e forse anche di altri personaggi legati alla politica locale.

Ma nell’aprile del 2019, Zappalà e Vaccarino vengono arrestati dalla procura di Palermo.

Il primo avrebbe inviato una trascrizione di un’intercettazione all’ex sindaco, che poi l’avrebbe passata ad un soggetto in passato condannato per mafia, Vincenzo Santangelo.  

Il contenuto dell’intercettazione non ha però nessuna utilità per la cosca mafiosa locale, dal momento che riguarda la convinzione (per altro errata) di due tizi convinti che il Santangelo, titolare di un’agenzia funebre, avesse fatto gratuitamente il funerale a Lorenzo Cimarosa, collaboratore di giustizia e cugino acquisito del boss, morto dopo una lunga malattia nel 2017.

 

Una vicenda complicata, che ha visto come testimone al relativo processo, lo stesso Paci che ha confermato di aver fornito al colonnello Zappalà le deleghe ad indagare sulle stragi.

Vicenda che si è conclusa, almeno per adesso, con delle condanne: 4 anni a Zappalà, 6 a Vaccarino. Oltre ad un anno patteggiato per l’appuntato scelto Giuseppe Barcellona, che non avrebbe potuto passare quelle trascrizioni a Zappalà (superiore in grado, ma senza titolarità in quel contesto specifico).

 

Ad avversare la ricostruzione di Paci sulla presenza di Matteo Messina Denaro nella riunione del ’91 ci sono chiaramente gli avvocati del boss: “Alla fase preparatoria degli attentati di Capaci e via D'Amelio a Palermo c’era il padre Francesco e non Matteo Messina Denaro – affermano gli avvocati Giovanni Pace e Salvatore Baglio - Matteo Messina Denaro non era presente alle riunioni e quindi non diede il suo assenso per le stragi. Essendo vivo il padre, lui non aveva titolo né per parteciparvi e neanche per esprimere un eventuale consenso”.

 

Un aiuto social alla tesi difensiva del boss, è arrivata anche dal più che controverso ex pentito Vincenzo Calcara che, in un suo lunghissimo post su facebook, attacca apertamente il pm Paci che lo aveva definito “un inquinatore di pozzi” e sostiene che Brusca, Geraci, Sinacori, Siino e altri sono dei falsi pentiti. E soprattutto scrive che Francesco Messina Denaro non aveva nessuna malattia che gli potesse impedire di presenziare.

Insomma, in altre parole, secondo Calcara, Il boss di Castelvetrano non sarebbe quindi responsabile dell’ok alle stragi del 92.

 

Ed è curioso come l’ex pentito possa essere considerato a tratti credibile ed affidabile dalla procura di Palermo, ma un inquinatore di pozzi del tutto inattendibile dalla procura di Caltanissetta.

Sarà forse anche a causa di questi attriti istituzionali che Matteo Messina Denaro è ancora latitante dopo 27 anni?

Egidio Morici