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03/11/2020 12:06:00

Ecco come si diffonde il coronavirus negli spazi chiusi. Il video

 Fin da quando il coronavirus è entrato nelle nostre vite, gli esperti ci hanno consigliato di evitare ambienti chiusi sovraffollati e di arieggiare frequentemente le stanze. Questo perché Sars-CoV-2 è un virus respiratorio che si muove insieme alle goccioline che emettiamo parlando, ma soprattutto tossendo e starnutendo. Già, ma come si muovono queste goccioline in un ambiente chiuso? Se lo sono chiesti i ricercatori dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, che insieme ai colleghi di Ergon Research e della Società italiana di medicina ambientale (Sima) hanno creato una simulazione 3D della dispersione delle goccioline dopo un colpo di tosse.

Per studiare come si muovono droplet e aerosol – e il coronavirus insieme ad essi – emessi con un colpo di tosse e l’impatto dei sistemi di areazione sulla loro dispersione, i ricercatori hanno usato come modello la sala d’attesa di un pronto soccorso pediatrico. Nella simulazione, all’interno della sala d’aspetto erano presenti sei adulti e sei bambini senza mascherina, e sono stati valutati gli effetti di diverse condizioni di aerazione: impianto spento, a velocità standard e doppia. E se per in un pronto soccorso, pediatrico o meno, la mascherina oggigiorno è obbligatoria, non è così in tutti gli ambienti chiusi: pensiamo ad esempio a bar e ristoranti, o alle scuole, dove si sta senza protezioni quando si è seduti al posto.

 

In questi tre scenari, è stato seguito il movimento delle goccioline e dell’aerosol nei 30 secondi successivi a un colpo di tosse utilizzando una serie di parametri fisici e le conoscenze di fluidodinamica computazionale, i ricercatori hanno ottenuto una simulazione 3D che riproduce quello che accade in un ambiente reale. “La nostra simulazione in 3D si basa su parametri fisici reali, come la velocità dell’aria che esce da un colpo di tosse, la temperatura della stanza e la dimensione delle goccioline di saliva. Non è una semplice animazione” spiega Luca Borro del Bambino Gesù e primo autore dello studio.

Secondo i risultati della ricerca, pubblicati su Environmental Research, utilizzare l’impianto di ventilazione a velocità doppia in un ambiente chiuso riduce la concentrazione delle goccioline del 99,6% rispetto a quanto accade a sistema di aerazione spento. Quando l’impianto è fermo, se una persona tossisce, gli individui più vicini respirano l’11% di aria contaminata da droplets, mentre quelli più lontani, a quattro metri di distanza, non vengono raggiunti. Quando invece il sistema di ventilazione è acceso a velocità doppia, le goccioline vengono rapidamente disperse: le persone vicine ne respirano solo lo 0,3%, e anche se gli individui più lontani in queste condizioni vengono effettivamente raggiunti da aerosol contaminato dal coronavirus, ne respirano solo percentuali bassissime (0,08%). E come spiega Carlo Federico Perno, responsabile di Microbiologia e diagnostica di immunologia del Bambino Gesù “più alta è la concentrazione di virus, maggiore è la probabilità di contagio”. E viceversa.

Ancora una volta il ricambio d’aria, anche attraverso sistemi di areazione e ventilazione, come sottolinea Alessandro Miani, presidente Sima,“ unitamente all’utilizzo di mezzi di barriera (mascherine, distanziamento e igiene delle mani), oggi rappresenta il principale strumento per ridurre il rischio di contagio in ambienti confinanti”.