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23/06/2022 16:30:00

Mezzogiorno, riparte la secessione dei ricchi 

Le catacombe della politica e la pubblicistica antimeridionale Se in Italia si fosse utilizzato lo stesso criterio di ripartizione utilizzato dall’Europa al Sud sarebbe toccato l’80% delle risorse del PNRR. C’è abbondante materia per un ricorso alla Corte di Giustizia Europea
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di Pietro De Sarlo economista e scrittore da Basilicata24 ï»¿

Questo più che un articolo è un documento che ho pensato di mettere a disposizione dei cittadini a seguito dell’incontro di sabato 18 u.s. a Pietramontecorvino promosso dalla Carta di Venosa. Un sorta di abstract di un mio saggio di prossima pubblicazione fatto non per ragioni commerciali, in tal caso non ne parlerei, ma per mettere a disposizione di tutti tabelle e grafici ottenuti da fonti pubbliche e certificate (Istat, Eurostat e specialmente i CPT) su cui ognuno è libero di svolgere le proprie considerazioni. Le interpretazioni possono essere diverse ma nessuno è autorizzato a esprimere teorie e analisi, come regolarmente avviene, svincolate da realtà e numeri, che non mentono mai.

 

Attenzione alle catacombe della politica
Come sempre, quando l’opinione pubblica è distratta avvengono le cose peggiori nella politica. Ed è così anche questa volta, che approfittando della guerra, della ripresa del COVID e dalla esplosione anticipata  della calura estiva Mariastella Gelmini, ministro per gli affari regionali, prova il colpaccio proponendo l’attuazione della autonomia differenziata, peggiorando, se possibile, quanto fatto fino ad ora e cercando addirittura di sottrarre gli accordi Stato – Regione alla potestà del  parlamento, peraltro ricalcando già lo scempio bipartisan dell’accordo di nulla costituzionalità a firma Gentiloni – Zaia – Fontana – Bonaccini fatto nelle oscure catacombe del potere nel febbraio 2018.
Sfugge anche, relegata a trafiletti di quarta, la proposta di una legge costituzionale di iniziativa popolare, su cui a breve, partirà la raccolta di firme per la modifica degli articoli 116 e 117.  Con toni pacati la rigorosa spiegazione nella conferenza stampa di venerdì scorso al senato  di presentazione dell’iniziativa a opera dei promotori; il costituzionalista Massimo Villone, Nadia Urbinati e tanti altri. Incontrovertibile la tesi di quanto sia non solo pericolosa per la tenuta dello Stato Unitario la proposta Gelmini, ma quanto sia rischioso proseguire sul percorso della autonomia differenziata e che dopo venti anni è arrivato il momento di una modifica del Titolo V della Costituzione. Il forte rischio è, opportunità per alcuni? di compromettere in via definitiva l’Unità nazionale frammentandone processi e legami culturali.
Sfugge ancor di più ai media del salotto buono la consapevolezza sulle reali questioni del divario Nord – Sud che sta invece maturando nel Mezzogiorno, grazie a una capillare rete di cittadini che si sta costituendo.
Come nella iniziativa di sabato scorso, a Pietramontecorvino, della Carta di Venosa, dove grazie ai suoi tanti animatori tra cui Nicola Manfredelli e Giulia Fresca, si tenta di cucire insieme le tante meridionalità. Tra queste quella di Luigi De Magistris e quella di Marco Esposito, autore di Fake Sud e Zero al Sud, fatta di zero retorica e tanta intelligenza strategica, tattica e comunicativa.
La pubblicistica antimeridionale
Attenzione a non farsi fuorviare dalla pubblicistica antimeridionale che dura da 160 anni e che sostanzialmente fa risalire le cause del divario nord – sud a questioni antropologiche. La trappola è evidente: se il divario dipende da queste questioni è irrisolvibile e quindi tanto vale non buttare soldi al sud poiché o saranno spesi male o non saranno spesi del tutto. E attenzione ai finti amici del Mezzogiorno che, come Emanuele Felice ex responsabile economico PD, ci blandiscono dicendoci che i meridionali hanno pari dignità degli altri cittadini, e vorrei anche vedere che dicesse il contrario, ma hanno una classe politica e una pubblica amministrazione non adeguata. Quindi ancora una volta siamo in presenza di una spiegazione antropologica del divario: infatti i dirigenti della PA li sceglie la politica e il popolo sceglie i politici. È assolutamente vera la minore qualità della Pubblica Amministrazione locale al Sud, anche se non nella misura della vulgata corrente, ma in un utilitaristico e proditorio bias cognitivo si confonde causa con effetto. La percentuale di occupati sulla popolazione attiva al Sud rasenta il 50%, e il PIL Pro capite è intorno ai 18.000 euro, parliamo quindi di una società fragile e dove, come ci raccontano le statistiche Eurostat, la Campania è in Europa la regione con il più alto numero di persone a rischio povertà, seguita a ruota dalla Sicilia e poco lontano in classifica la Calabria. In nessuna parte del mondo e in nessuna epoca a una popolazione povera è corrisposta una classe dirigente, politica e no, eccellente. Una popolazione in condizioni di fragilità economica e materiale esprime alla politica bisogni elementari di protezione individuale, e non collettiva. Prevale quindi nella selezione politica chi è in grado di risolvere questioni vitali che vanno dalla piccola pratica, alla assistenza, al posto o almeno a una occupazione di sopravvivenza. Chi viene selezionato su tali principi non ha alcun interesse a modificare lo statu quo. D’altro canto se la questione fosse la qualità dei pubblici amministratori la soluzione del divario sarebbe banale. Basterebbe commissionare le regioni e mettere a capo degli apparati pubblici meridionali un centinaio di manager settentrionali, strapagarli e farli assistere da qualche altro centinaio di laureati alla Luiss, alla Cattolica o alla Bocconi e con la stessa razione di pane e cicoria degli attuali amministratori. È evidente a tutti che l’iniziativa sarebbe votata al fallimento o a produrre miglioramenti marginali? E allora occorre cercare in qualcosa di più concreto e meno proditoriamente ideologico le ragioni del divario.
I Conti Pubblici Territoriali
Proprio per dare risposta alla crescente spinta delle regioni del Nord di trattenere maggiori risorse sui propri territori, su impulso dell’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, nacquero i Conti Pubblici territoriali prodotti dalla relativa agenzia vigilata dalla Presidenza del Consiglio: conoscere per decidere.
Operazione che ha richiesto del tempo ma che oggi fornisce una base affidabile su come vengono ripartiti gli oltre 1.000 miliardi di spesa pubblica corrente. Nel mentre la pubblicistica antimeridionale diffondeva favole velenose su numeri sostanzialmente inventati e interpretazione fantasiose. Nel 2010 l’animatore dell’Osservatorio del Nord Ovest, Luca Ricolfi, pubblicò un libro dal titolo il Sacco del Nord . In questo testo sulla base di una inventata ‘contabilità liberale’ manipolando i conti pubblici arrivò a sostenere che il tenore di vita del Sud fosse superiore a quello del Nord perché al sud c’era più tempo libero e questo ha un valore economico. Per Ricolfi quello di un disoccupato di Scampia è lo stesso di un amministratore delegato di una banca del Nord e quindi si diffuse nella pubblica opinione l’idea di un Sud che campa e fa la bella vita sulle spalle del nord operoso. Una favola ben raccontata e, come diceva Platone, i creatori di favole governano il mondo.  Ma è così?
I Conti Pubblici territoriali ci raccontano invece una storia diversa. La spesa pubblica pro capite nazionale è di circa 17.300 €. Al Nord Ovest è di circa 19.000 € mentre al Sud è di 13.800€. C’è una differenza di più di 5.000€. Facendo qualche conto al Sud e Isole arrivano ogni anno quasi 100 miliardi in meno rispetto ai cittadini del Nord Ovest. E sono proprio 100 i miliardi in più di spesa pubblica che sarebbero necessari se a tutti i cittadini, a prescindere dalla regione di appartenenza, toccasse una spesa pubblica pro capite come quella della Lombardia.
Di cosa è fatta la spesa pubblica? Per esempio dalla sanità. In Lombardia si quasi 2.500 € anno pro capite, mentre in Campania si spendono 1.660 €. Questa differenza viene spiegata dicendo che il criterio di ripartizione è l’anzianità della popolazione e con il ristoro per le cure fornite ai cittadini che provengono da altre regioni.
La sensazione è che prima si decide il quantum per regione e poi si trova il criterio. Se il criterio di partenza fosse garantire un minimo di qualità di servizio a tutti gli appartenenti alla stessa comunità politica dovremmo considerare anche altri parametri, per esempio la densità di popolazione. In Basilicata ci sono circa 500.000 abitanti su un territorio grande la metà del Veneto con la conseguente impossibilità di fare economie di scala e di scopo. Ma in Basilicata la spesa pro capite è più o meno la stessa della Campania e lontanissima da quella lombarda. Un cittadino lombardo per fare una chemioterapia prende il tram o qualsiasi servizio pubblico. In Basilicata si sciroppa 2-3 ore di auto privata ad andare e altrettanti al ritorno per raggiungere l’unico centro chemioterapico esistente. Pare ovvio ma, secondo la pubblicistica corrente anti meridionale, la differenza della spesa sanitaria pro capite non viene mai in mente a nessuno per spiegare il livello diverso di qualità delle prestazioni tra Nord e Sud. Senza contare l’impatto sul PIL regionale che viene generato oltre che dalla spesa diretta anche dai viaggi di parenti dei malati con relativi spese di soggiorno.
Ancora più eclatante l’esempio della spesa per le politiche di coesione sociale. In Lombardia la spesa pro capite è di circa 6.900 € pro capite, in Emilia Romagna di 7.200 e in Campania è di 4.900 €. Sarà un caso che gli occupati del terzo settore siano in Lombardia 181 ogni 10.000 abitanti e in Campania solo 57? Anche il terzo settore fa PIL. I criteri di distribuzione della spesa appaiono non solo illogici ma introvabili e opachi. Cosa spiega e attraverso quale iter legislativo e decisionale si giustifica che la spesa sociale sia più bassa dove le povertà sono maggiori?  Si spende di più nelle regioni più ricche tanto da avere una correlazione negativa inversa tra la spesa sociale e la percentuale delle persone in condizione di povertà assoluta addirittura pari -0.83. Ecco quindi una spiegazione concreta delle ragioni del divario che si aggiunge al noto gap infrastrutturale.
E quindi questa distribuzione, difficilmente giustificabile sul piano costituzionale, meriterebbe un esame dettagliato dei processi legislativi che portano a queste situazioni e che sono preesistenti alla richiesta di autonomia differenziata oltre a una operazione trasparenza sui criteri adottati. Non sono un costituzionalista ma materia per ricorsi alla Corte Costituzionale, e ancor di più a Corte di Giustizia Europea c’è, a mio modo di vedere, eccome. Così come le associazioni dei cittadini dovrebbero/dovremmo chiedere l’accesso agli atti per esaminare questi processi e iter.
Residuo fiscale
Per giustificare l’autonomia fiscale si ricorre spesso al residuo fiscale. Eppure da un lato già oggi le regioni più ricche ricevono più spesa pubblica e con un indice di correlazione PIL spesa / Pubblica elevato (0,79). Già oggi solo due regioni (Toscana e Veneto) hanno una spesa pubblica inferiore alla media nazionale e un PIL superiore, ma di poca misura. Cosa vogliono di più ancora?
In aggiunta la pressione fiscale per regione e il PIL sono de correlate (indice di correlazione 0,19), anzi si vede che sono molte le regioni italiane che hanno un PIL superiore alla media nazionale e una pressione fiscale inferiore: Veneto, Trentino, Lombardia, Valle D’Aosta, Liguria e Toscana. Le più ricche.
In aggiunta il residuo fiscale, così come individuato dal Nobel Buchanan, si spiega con il fatto che “un individuo dovrebbe avere la garanzia che dovunque egli desideri risiedere nella nazione, il trattamento fiscale complessivo che egli riceverà sarà approssimativamente lo stesso“. Ossia che cittadini con lo stesso reddito ma residenti in regioni diverse siano trattati nello stesso modo. Questo principio, capito male dai governatori del Nord, è recepito in tutte le costituzioni mondiali e anche nella nostra. Non è possibile avere discriminazioni territoriali giacché un individuo che cambia regione all’interno della stessa nazione deve aspettarsi lo stesso trattamento. In Italia non è così: a via Brera a Milano si spende di più che a Scampia a Napoli per le politiche sociali.
Le periferie del mondo
Sempre per rimanere su temi concreti per spiegare il divario Nord – Sud rilevo che in nessuna periferia del mondo e lontano dalle rotte commerciali c’è stato nella storia e c’è nella contemporaneità produzione di ricchezza.
Henry Pirenne, lo storico belga, spiegava le ragioni della nascita del Medioevo così: “Il Mediterraneo era ridotto ad un lago stagnante”. E sono esattamente queste le ragioni, insieme alla spesa pubblica corrente e per infrastrutture, del declino del Mezzogiorno. Ora periferia d’Europa e lontano dalle rotte commerciali pur essendo in una posizione privilegiata dalla geografia: al centro del Mediterraneo che è punto di incontro di tre continenti.
Invece i traffici con la Cina, l’India, il Giappone, l’est asiatico passano per l’80- 85% dal polo logistico del distretto portuale di Rotterdam Anversa. La Germania scambia con la Cina il 5,3% del proprio PIL con una crescita del 53% negli ultimi 10 anni. L’Olanda scambia il 13,4% del proprio PIL con una crescita del 94% negli ultimi 10 anni. L’Italia con una crescita media anno del 2% scambia oggi il 2,7% e di fatto gestisce l’import export tramite i porti del Nord Europa.
Il Sud per diminuire il gap dovrebbe divenire un polo logistico alternativo a quello del Nord Europa, per farlo occorre volontà politica, recupero del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e le infrastrutture necessarie. In questo modo il Mezzogiorno potrebbe divenire in Europa quello che la California è per gli USA a beneficio di tutti.
I governatori delle regioni meridionali dovrebbero chiedere a gran voce l’utilizzo dei fondi PNRR per finanziare le infrastrutture necessarie, insieme a un progetto simbolo di rinascita come il Ponte sullo Stretto di Messina.
IL PNRR
I creatori di favole ci raccontano che il PNRR è l’occasione per il Sud. Come se un differenziale di investimenti di 200 euro anno per abitante per i prossimi 6 anni rispetto al Nord potesse compensare la minore spesa corrente, che in solo due anni vale come tutto il PNRR. Ma non è solo questo il punto. C’è un tema più ampio che tratteremo in modo più compiuto in altra sede, che è la struttura dei finanziamenti pubblici che viene fatta per ‘missioni’ o se preferite aree tematiche senza tenere conto della visione compressiva e delle necessità dei territori ma applicata ugualmente a Berlino e Catanzaro. In altri termini i pubblici amministratori sono bravi se arraffano finanziamenti per fare qualsiasi cosa, anche se non serve, mentre per le iniziative utili non si trovano finanziamenti. Ma a prescindere da questo la filosofia che ha animato il NGEU è stata quella della riduzione delle divergenze economiche tra i paesi europei. In Europa ci si rende conto che le divergenze sono come l’acqua cheta che corrode in modo invisibile i ponti fino a farli crollare apparentemente all’improvviso. Dopo l’impazzimento sulla Grecia hanno compreso, non tutti però, che le politiche che accrescono, come quelle di rigore, le divergenze in prospettiva faranno crollare la stessa unione europea.
Se in Italia si fosse utilizzato lo stesso criterio di ripartizione utilizzato dall’Europa al Sud sarebbe toccato l’80% delle risorse del PNRR. C’è abbondante materia per un ricorso alla Corte di Giustizia Europea.
Bias cognitivo
A dicembre del 2021 alla inaugurazione della Scala la borghesia milanese applaudì Mattarella invocando il BIS. Io francamente non so cosa pensare di una borghesia e, soprattutto, di un sistema dei media finanziato dai salotti buoni, che si affida a un ottantenne per coprire un ulteriore settennato. Poi si affida ad Amato, 84 anni, per la Corte Costituzionale e a Draghi, 75 anni, come presidente del consiglio. Mi pare una strategia grottesca e priva di visione per il futuro, ma solo per passare la nottata. Ma soprattutto è indice di una classe che si sente minacciata e che ha prodotto un ceto politico (Sala, Fontana, Zaia, Bonaccini, eccetera) chiuso in una visione predatoria a supporto di spiccioli interessi localistici. Assolutamente priva di assumersi la responsabilità del Paese e meno che mai europea o europeista, a di dispetto degli epiteti di sovranisti e populisti che dispensano a tutti. La classe dirigente lombarda e veneta rimane una classe dirigente locale e periferica che si guarda in continuazione l’ombelico o la punta dei pieni. Passo dopo passo verso il baratro.
Si confortano raccontandosi la favola del Sud che succhia loro il sangue mentre è l’esatto contrario: un Nord che sopravvive succhiando le risorse del Sud. Mario Draghi a Sorrento ha detto con il PNRR il Sud ha l’occasione di diventare, grazie al suo sole e al vento, l’HUB energetico nazionale. Ma dove si producono i pannelli solari e le pale eoliche? In Cina, in Germania. Non certo al Sud. Di chi sarà la proprietà delle centrali a energie rinnovabili? Delle multinazionali o delle comunità locali? E dove sarà consumata l’energia prodotta? Al nord o servirà per una fornitura calmierata alle aziende e alle famiglie del Mezzogiorno? Senza chiarire questi aspetti sembra invece che si sia trovato il modo per prendere anche il sole del Sud e portarlo al Nord. Più o meno come il petrolio in Val D’Agri. Produce utili che determinano tassazioni in Olanda, con le royalties si fa la stessa spesa pubblica che al Nord si fa con la fiscalità ordinaria, e quando il petrolio finirà rimarranno le macerie del centro oli e dei pozzi dismessi, poiché nessuno oggi si preoccupa di chi finanzierà il decommissioning.
Usano la meridionalità come attributo denigratorio. De Mita diventa per Agnelli intellettuale della Magna Grecia. Formica un commercialista di Bari. Conte un avvocato di Appula, si prende in giro Urso per ‘l’accento borbonico’ e persino Ferruccio De Bortoli, nell’introduzione all’ultimo libro di Cirino Pomicino, ne descrive ‘l’arguzia tutta partenopea’. Evidentemente l’arguzia a Milano e dintorni è finita e da tempo.
In piena pandemia i meridionali guardavano atterriti le file di camion che portavano via i cadaveri da Bergamo. Si sono barricati nelle case dicendosi l’un l’altro: se questo avviene in Lombardia con la loro sanità eccellente cosa accadrà quando il Covid arriverà al Sud? E dicevano ai figli studenti in Bocconi: non tornate! Rimanete a Milano che almeno lì vi curano. Polito sul Corriere della Sera, non si sa bene in base a quale incubo notturno, ha parlato invece della schadenfreude del sud contro il nord. Il termine tedesco indica quel meschino sentimento per cui l’ultimo della classe gode quando il primo della classe prende 4 al compito di matematica. Noi meridionali siamo molto meglio di così.
Insomma dopo 160 anni non solo non sono stati fatti gli italiani, ma si sta sfaldando, tra sospetti e menzogne, il sentimento unitario. La classe dirigente del Nord, ben lungi da assumere visioni e responsabilità nazionali, si dimentica che l’Italia è nel Mediterraneo. Pensa di essere in Baviera ma sono al di qua delle Alpi. Se ritengono di sopravvivere amputando il Bel Paese eliminando il Sud siano chiari e lo facciano. Ma così non si può andare avanti.
Conclusioni
A Pietramontecorvino Gianni Fabris ha detto che l’unica possibilità di cambiare le cose è la rete dei cittadini. Temo abbia ragione. Per quanto detto è inutile sperare nei partiti o nella classe politica e, per ragioni diverse, sia quella del Nord sia in quella del Sud sono inadeguate. Nel libro Fake Sud Marco Esposito ha già denunciato l’assenza degli onorevoli del Sud nelle commissioni dove si decide la spesa pubblica. Il sentimento di Unità Nazionale è diventato non nel popolo, ma nella sua classe dirigente, frivolo e inconsistente. Prevalgono gli interessi e la prepotenza dei forti e dei localismi. La strada corretta è quella che, senza troppo clamore, stanno percorrendo Villone, Urbinati e altri con la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare. Oppure quella che da tempo con grande intelligenza sta percorrendo Marco Esposito e tanti altri facendo rete e portando avanti iniziative concrete, come quelle del ricorso dei sindaci sulla distribuzione delle risorse.
D’altro canto la disaffezione al voto, la bassa affluenza in Francia è veramente allarmante, è figlia della idea che ormai siano più le burocrazie europee a decidere che la politica. Allora tanto vale rivolgersi a queste burocrazie direttamente e senza passaggi intermedi e inutili.
A mio modo di vedere occorre fare ricorsi in Corte Costituzionale sugli iter con cui viene ripartita la spesa per regione e, soprattutto, alla Corte di Giustizia Europea sia per la palese discriminazione territoriale sia per la ripartizione dei Fondi del PNRR sia per la bassa trasparenza dell’iter legislativo.
Propedeutica la richiesta di accesso agli atti per esaminare come si ripartisce la spesa tra le regioni. Credo che valga la pena nei prossimi incontri della Carta di Venosa porre sul tavolo questi temi e le relative iniziative.
Pietro De Sarlo economista e scrittore 



Rassegna Stampa | 2024-03-19 17:00:00
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