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03/05/2025 06:00:00

Il prezzo del biglietto, il valore del rispetto. E la crisi tra Antonini e Trapani

 C’è qualcosa che Valerio Antonini non ha ancora capito. E forse, a questo punto, non lo capirà mai.

Il presidente (anzi, il "pres", come ama farsi chiamare) dei Trapani Shark è convinto che il basket (ma vale lo stesso per il calcio, e per la vita ...)  sia una mera questione di numeri, investimenti, quote, ritorni. Ed è vero: ci ha messo soldi, tanti, come ricorda spesso, cambiando però le cifre. Adesso parla di una stagione con  3,5 milioni di euro di perdite. Ma lo sport è fatto anche di altro: è fatto di emozioni, identità, passione. E di tifosi.

Proprio loro, i tifosi,  decidono di restare fuori dal palazzetto per la sfida più importante della stagione, contro l’Olimpia Milano. Lo fanno per protesta, con dolore, ma anche con dignità. Perché, a differenza di chi sventola milioni, loro da sempre mettono voce, cuore e chilometri. Senza fatture e senza ritorni economici.

In tutte le piazze d’Italia, le curve sono parte integrante dello spettacolo: pagano meno, perché danno di più. Non è elemosina, è riconoscimento. È consapevolezza che il tifo organizzato è valore, non un problema da arginare. Antonini invece li accusa di "ricatti", li invita a "stare a casa", li deride. E nel frattempo, toglie tamburi, megafoni, striscioni, come se fossimo all'asilo.

Ma il punto non è solo il prezzo del biglietto – pure eccessivo, in un settore popolare, per una città che lotta ogni giorno con la precarietà e il caro vita. Il punto è il disprezzo con cui si liquida il dissenso.  Circostanza che purtroppo noi di Tp24 abbiamo visto anche in ambito giornalistico, per tutte le offese e gli insulti che subiamo per il fatto di essere una voce critica, di provare a fare giornalismo di inchiesta, di non inginocchiarci al potente di turno. 

Ma parliamo di sport. La verità è che Antonini dimentica che è arrivato in un contesto, quello trapanese, maturo, dove il basket era già vissuto con senso di appartenenza. Non c'erano gli zulù. Ha trovato una tifoseria calda, presente, invidiata in tutta Italia. Eppure anzichè costruire ponti ha trasformato ogni critica in un affronto personale, ogni suggerimento in lesa maestà. Non ha mai digerito nemmeno quello striscione – "Repesa non si tocca" – affisso fuori dal palazzetto. Lo ha vissuto come un attacco, non come una dichiarazione d’amore verso l’allenatore che è il vero eroe di questa stagione. 

Così, mentre la squadra sogna in grande, la frattura tra "governance" e popolo si allarga. Un paradosso, nel momento più delicato del campionato, in cui sarebbe necessaria un’unità granitica tra campo, spalti e società.

E invece no. Si insegue un modello padronale, verticalista, impermeabile al contesto. Ma lo sport non si fa solo con gli investimenti: si fa anche con la gente.

E allora la domanda, oggi, è questa: fino a quando? Fino a quando il braccio di ferro sarà più importante della squadra? 

Tra l'altro, da un po' di tempo a questa parte, il "re" di Trapani risponde ad ogni critica minacciando di andarsene. Vuole esportare il "modello Trapani" altrove? Lo faccia. Ma abbia almeno la decenza di ringraziare una città che lo ha accolto, portato in alto, reso protagonista. E che si è messa ai suoi piedi da subito (basta citare la cittadinanza onoraria conferita qualche mese fa ....).  E che ora, semplicemente, gli chiede rispetto.

Perché, una cosa è certa (e riguarda il basket, e non solo): Trapani c’era prima di Antonini. E ci sarà anche dopo. Con meno milioni di euro, forse, meno zerbini glitterati. Ma con più dignità.

Giacomo Di Girolamo



Editoriali | 2025-12-04 06:00:00
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