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05/01/2019 22:00:00

Omicidio Mattarella, ripartono le indagini attorno all'eversione nera

Trentanove anni dopo, la procura di Palermo torna a cercare il killer del presidente della Regione Piersanti Mattarella, il fratello del Capo dello Stato, fra i terroristi dell’estrema destra. I magistrati hanno incaricato i carabinieri del reparto “Anti eversione” del Ros di passare al setaccio i fascicoli dei 33 omicidi commessi dai Nar, i nuclei armati rivoluzionari, fra il 1977 e il 1981. Obiettivo, acquisire quanti più reperti balistici: proiettili e armi. E poi confrontarli con i sei proiettili che uccisero il presidente che voleva rinnovare la Sicilia e la politica. Per questo, la mafia lo fermò. Probabilmente - scrive Salvo Palazzolo su Repubblica.it - servendosi di un sicario venuto da lontano. Era l’ipotesi del giudice Giovanni Falcone, che mise sotto accusa i “neri” Valerio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, sono stati però assolti, la sentenza è ormai definitiva, i due ex Nar non potranno più essere indagati per il delitto Mattarella.

Un'inchiesta complessa a distanza di così tanto tempo. Ma il procuratore Francesco Lo Voi, l’aggiunto Salvatore De Luca e il sostituto Roberto Tartaglia non rinunciano a cercare la verità sul contesto in cui si mosse il killer dagli occhi di ghiaccio e l’andatura ballonzolante, come lo descrisse la vedova Mattarella, la signora Irma Chiazzese. Una verità che potrebbe aprire scenari d’indagine importanti per fare luce sulle connessioni fra mafia ed eversione nera. Anche perché non è solo la procura di Palermo a muoversi attorno a quelle trame di sangue e complicità negli ambienti deviati dei servizi segreti.

Nel processo in corso a Bologna, per la strage alla stazione del 2 agosto 1980, è imputato Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro sono stati già condannati all’ergastolo nel primo dibattimento (sono però tornati in libertà nel 2000 e continuano a proclamarsi innocenti per gli 85 morti della strage).

I nuovi accertamenti
Ora, gli specialisti del Ros guidato dal generale Pasquale Angelosanto cercano le tracce di una 38 special con una canna che ha "8 rigature destrorse". E un altro revolver dello stesso calibro. Quel 6 gennaio 1980, il sicario sparò con due armi, la seconda gli fu passata dal complice, che era alla guida di una Fiat 127 bianca.

Su quell’auto rubata, ritrovata un'ora dopo il delitto, la polizia trovò un frammento di impronta: sul lato sinistro, poco sotto il finestrino. Questa traccia è stata riesaminata al Gabinetto regionale di polizia scientifica di Palermo, ma allora come oggi l’impronta viene ritenuta non utilizzabile, perché parziale.

Nella 127, all’epoca venne sequestrato pure un guanto di pelle, dimenticato dai killer. Ma è scomparso, chissà quando, all’ufficio corpi di reato del tribunale non ce n’è traccia. Ed è svanita così la possibilità di trovare il Dna di uno degli assassini. Misteri su misteri.

Non ci sono più neanche gli spezzoni di una targa ritrovati due anni dopo l’omicidio di Palermo, in un covo dell’estrema destra a Torino. Come ha raccontato Giovanni Grasso nel libro “Piersanti Mattarella. Da solo contro la mafia” (San Paolo editore), quegli spezzoni – “Pa” e “Pa 563091” – hanno gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti agli assassini del presidente della Regione, che avevano utilizzato due targhe rubate per camuffare la Fiat 127 del delitto. Una storia davvero curiosa, questa. Sembra che quei reperti, rimasti conservati al tribunale di Roma dopo una parentesi a Palermo, siano andati al macero nel 2004. E un altro spunto di indagine è svanito nel nulla. 



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