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03/04/2017 06:05:00

Castelvetrano, il pentito Cimarosa e la sorella di Matteo Messina Denaro

 “Se perdevano ancora più tempo e non mi arrestavano, ed io avevo qualche prova per poterlo far prendere a Matteo Messina Denaro, l’avrei fatto prendere, avvocato, ha capito o no? (…) Perché ci dobbiamo liberare da questa piaga a Castelvetrano”.

A parlare è Lorenzo Cimarosa, durante un “incidente probatorio” dell’aprile 2014.

“Questa frase può rischiare di essere lo slogan del momento” aveva commentato il legale di Francesco Guttadauro (nipote prediletto del boss latitante, condannato in Appello a 16 anni).

Ma Cimarosa aveva risposto che non era stato facile prendere la decisione di collaborare con la giustizia, rammaricandosi per non averlo fatto prima, quando per la prima volta gli avevano chiesto i soldi, stigmatizzando il comportamento di Matteo Messina Denaro che, nonostante la sorella fosse stata arrestata per colpa sua, non si è costituito. Lui, ha affermato, non avrebbe aspettato nemmeno un minuto.

E’ stato un mafioso Cimarosa (deceduto nel gennaio scorso), anche se ha sottolineato di esserlo diventato dal 2010, in seguito all’arresto di Giovanni Filardo, altro cugino del boss. “Mafioso a tutti gli effetti” aveva affermato, spiegando che non era necessaria la “punciutina” e che lui, pur non ritenendosi mafioso, per lo stesso fatto di parlare con mafiosi, di occuparsi di lavori e di aziende, anche se per un breve periodo, aveva fatto parte di cosa nostra.

 

La sentenza d’Appello del processo Eden certifica ulteriormente la sua attendibilità e il suo apporto in importanti risultati giudiziari, compresa la condanna per mafia a Patrizia Messina Denaro (sorella del boss latitante). Una condanna a 14 anni e sei mesi, un anno e mezzo in più rispetto a quella di primo grado del Tribunale di Marsala, visto il cambiamento del capo d’imputazione passato da “concorso esterno in associazione mafiosa” ad “associazione mafiosa”.

 

Patrizia Messina Denaro aveva veicolato i messaggi del fratello al marito in carcere, riguardo al sospetto del possibile pentimento di Giuseppe Grigoli, il re dei supermercati, alter ego del boss nel settore della grande distribuzione alimentare (ne abbiamo parlato qui). Oltre ad avere avuto un ruolo di primo piano nella gestione dei soldi per il mantenimento della latitanza del capomafia castelvetranese.

I giudici della Corte d’Appello hanno sottolineato però che, sebbene queste condotte apparissero già sufficienti per fare rientrare il capo di imputazione nell’ambito del 416 bis (associazione mafiosa), le dichiarazioni rese da Lorenzo Cimarosa su una lettera del boss che la stessa gli avrebbe consegnato, dovessero essere considerate assolutamente attendibili.

Nell’aprile del 2014 Cimarosa parlò di questa lettera nella quale Matteo Messina Denaro gli chiedeva di “non interessarsi più della divisione dei lavori del parco eolico – si legge nella sentenza – in quanto se ne sarebbe interessato il Guttadauro. Nella stessa lettera gli aveva fatto sapere anche che stava male e che aveva bisogno soldi”.

Non si trattava di un pizzino, di quelli arrotolati con cura e chiusi col nastro adesivo, ma di una piccola busta aperta che gli fu consegnata a casa della Messina Denaro. Una lettera scritta a mano, al cui contenuto quest’ultima aveva aggiunto non avrebbe dovuto dire nulla a nessuno, nemmeno al Guttadauro. Dopo averla letta, sotto gli ulivi a casa sua, il Cimarosa la bruciò.

 

Patrizia Messina Denaro aveva quindi un ruolo di “veicolatrice abituale” e – si legge nella sentenza – godeva di infinita considerazione non solo dalle donne (madri, sorelle degli uomini di mafia), ma anche da parte dei mafiosi di rango come Guttadauro Francesco e lo stesso Filardo Fiovanni, che si è dimostrato attentissimo alla consegna mensile dei soldi alla Messina Denaro”.

Non tutte le donne però sono uguali. La Santangelo, zia del latitante, rivolgendosi alla figlia, aveva mostrato di avere una considerazione molto diversa nei confronti delle Filardo: “Ti vogghiu diri, Vannè, chiddi su fimmini. Hannu a capiri chi tantu Enzu, quantu Ninuzzu (Cimarosa e Lo Sciuto, ndr) ci portanu lu pani dintra e su omini”. Nello stesso tempo, non aveva avuto invece alcuna esitazione a rivolgersi a Patrizia Messina Denaro per cercare di convincere la moglie e le figlie di Giovanni Filardo a consegnare i soldi della BF Costruzioni appunto al Cimarosa e a Nino Lo Sciuto (condannato nello stesso Appello a 13 anni e sei mesi).

 

Oggi, i Castelvetranesi hanno modo di conoscere meglio la figura della donna di mafia e del pentito. Sembra però che la collaborazione di Lorenzo Cimarosa non sia ancora stata letta dalla città come una scintilla di cambiamento. Forse perché, ancora troppo prudenti, hanno guardato con sospetto alla genuinità della sua scelta. Oppure perché il pentito in generale non è ancora visto di buon occhio, secondo l’arcaica mentalità che chi parla è un infame.