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23/11/2017 06:00:00

Matteo Messina Denaro, l'ultimo boss /1

Matteo Messina Denaro è l'ultimo boss di Cosa Nostra, l’invisibile di Castelvetrano e della Provincia di Trapani, cresciuto sotto l’ala protettiva del padre Francesco Messina Denaro e del corleonese Totò Riina. Ora che il capo del capi non c’è più ci si aspetterebbe che fosse proprio il boss castelvetranese, il “gioiello” di Riina, come lui stesso lo definiva, a prendere il suo posto, ma non è proprio così e non lo è nelle regole di Cosa Nostra. Non sarebbe possibile per diversi motivi e perché la mafia palermitana non lo permetterebbe  a un non palermitano, un trapanese,  di prendere la guida dell’intera struttura criminale.

Gli inizi della carriera criminale - Nato il 26 aprile del 1962, l’ex ragazzo rampante, figlio del capo-mandamento di Castelvetrano, è un predestinato. Figlio di Don Ciccio Messina Denaro, il potente alleato dei corleonesi che, assieme al Mazarese Mariano Agate aiutò a sterminare tutti gli avversari di cosa nostra trapanese, i Rimi di Alcamo, i minore di Trapani e le famiglie mafiose di Marsala e di Castellamare. Insieme al padre, è ufficialmente un bracciante della tenuta agricola della famiglia D’Alì Staiti, proprietari della Banca Sicula. Il giovane Messina Denaro appena diciottenne entra nella guerra di mafia di quegli anni venendo coinvolto in diversi delitti a Partanna, Marsala e Alcamo. E’ così forte e stretto il rapporto con Riina che si affida a lui quando ha necessita di nascondere il proprio tesoro e Matteo si rivolge ad un suo amico gioielliere, Francesco Geraci.

Boss contemporaneo e tecnologico - Matteo Messina Denaro è un boss atipico. A differenza degli altri è ateo, lo scrive lui stesso in alcuni suoi scritti. E a differenza di boss come come Riina e Provenzano ama le auto sportive e il lusso in generale. Porta abiti firmati e il rolex al polso e prima di diventare invisibile molti lo ricordano in giro al volante di una Porsche, ma anche di Mercedes e Bmw. Altra passione del boss sono i videogiochi, mentre è quasi certo che il boss per comunicare con i suoi uomini senza paura di essere intercettato, sia stato uno dei primi ad utilizzare skype. 

Il periodo stragista - Quando lo stesso Riina ordina di uccidere il giudice Giovanni Falcone, manda Matteo a Roma per pedinarlo e ucciderlo, salvo poi decidere che Falcone doveva essere ucciso in maniera eclatante, per dimostrare la forza di Cosa nostra. E così avviene, prima a Capaci e poi un mese dopo in via D’Amelio con la strage che procurò la morte di Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta. A settembre di quello stesso anno, il 1992, assieme ad un commando di fuoco cerca di uccidere il vice questore Rino Germanà che però si salva, riportando una ferita di striscio alla testa. Dopo un inseguimento al lungomare di Mazara, il poliziotto scende dall’auto e si confonde tra i bagnanti e poi in mare salvandosi la vita. Il 15 gennaio del 1993 l’arresto di Riina, e secondo alcune ricostruzioni, Messina Denaro era proprio con lui quella mattina e solo per un nulla è scampato all’arresto. A quel punto dopo l’arresto di Riina inizia l’affondo di Cosa Nostra al cuore dell’Italia e al suo patrimonio artistico-culturale con gli attentati di Roma, Milano e Firenze e Messina Denaro approva quella strategia stagista.

La Latitanza - Dal 2 giugno del 1993 inizia la latitanza, anche all’estero, molto probabilmente in Nord Africa. Messina Denaro riduce i rapporti con i suoi uomini e inizia ad utilizzare un sistema, quello dei pizzini, via via sempre più perfezionato. Inizia, insomma, quella sommersione e invisibilità che sarà alla base della trasformazione di Cosa Nostra favorita anche da una serie di coperture “istituzionali”, tra politici, imprenditori e uomini dello Stato.

Gli affari del boss – Coincide con l’inizio della latitanza l’ascesa imprenditoriale di Matteo Messina Denaro. Oltre ai tradizionali settori in cui Cosa Nostra opera, come il controllo del traffico di droga - Messina Denaro ha contatti anche con i cartelli sudamericani della droga - il boss inizia a sviluppare tra i tanti suoi affari quello nel settore della grande distribuzione e nelle energie alternative. I soldi sporchi del malaffare diventano supermercati e centri commerciali. Socio e prestanome del boss castelvetranese è Giuseppe Grigoli, il “re dei supermercati”, titolare del Gruppo 6GDO, un colosso della grande distribuzione che gestiva i supermercati Despar e il centro commerciale Belicittà. Grigoli, socio e prestanome di Messina Denaro, ha iniziato la sua attività con una piccola bottega nel 1974, con la protezione del boss è riuscito a mettere insieme un impero da 750 milioni di euro. Altro grande affare, è l’energia alternativa, in particolare l’eolico. I suoi uomini più stretti sono riusciti ad infiltrarsi nella realizzazione dei più grandi parchi eolici della Sicilia occidentale. Continua...