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18/02/2010 05:19:44

"Messina Denaro nascose il piccolo Di Matteo a Valderice e a Campobello"

Per il delitto sono sotto processo, davanti alla seconda sezione della Corte d’Assise di Palermo, anche i capimafia Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano. Sinacori ha riferito, in particolare, sul ruolo di Messina Denaro negli anni in cui Di Matteo rimase prigioniero dei mafiosi. Messina Denaro si sarebbe interessato di tenere nascosto il bambino in alcune zone del trapanese e in particolare a Valderice e in un luogo tra Tre Fontane e Campobello di Mazara. Inoltre, Messina Denaro ha detto a Sinacori che del sequestro se ne erano occupati i palermitani e in particolare Graviano. Uno degli imputati, Francesco Giuliano, ha contestato, durante dichiarazioni spontanee, alcuni passaggi del racconto di Sinacori. ”Lui si è pentito, come ha detto a Firenze nel processo per le stragi – ha sostenuto Giuliano – perché non voleva stare nel carcere di Pianosa. Ha sempre negato di conoscermi, adesso invece dice che sapeva chi ero. E’ una spudorata menzogna”.

 

Giuseppe Di Matteo (1981-1996) figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, ex-mafioso, divenne vittima di una vendetta trasversale nel tentativo di far tacere il padre. La sua morte è risaltata grandemente su tutti i giornali perché il cadavere del ragazzo non fu mai trovato, essendo stato disciolto in una vasca di acido nitrico.

Giuseppe fu rapito il 23 novembre 1993, quando aveva 13 anni, al maneggio di Altofonte (PA) da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato.

La famiglia cercò presso tutti gli ospedali cittadini notizie del figlio, ma quando, il 1º dicembre 1993, un messaggio su un biglietto giunse alla famiglia con scritto «Tappaci la bocca» e due foto del bambino che teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, fu subito chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci  e sull'uccisione dell'esattore Ignazio Salvo.

Il 14 dicembre 1993, Francesca Castellese, moglie di Di Matteo, denunciò la scomparsa del figlio. In serata fu recapitato un nuovo messaggio a casa del suocero (Giuseppe Di Matteo, padre di Santino) con scritto «Il bambino lo abbiamo noi e tuo figlio non deve fare tragedie». Dopo un iniziale cedimento psicologico il pentito non si piegò al ricatto, sebbene fosse angosciato dalle sorti del figlio, e decise di proseguire la collaborazione con la giustizia.

Brusca decise così l'uccisione del ragazzo, ormai fortemente dimagrito e indebolito per la prolungata e dura prigionia, e che venne strangolato e successivamente sciolto nell'acido l'11 gennaio 1996, all'età di 15 anni, dopo 779 giorni di prigionia.

Per l'omicidio del piccolo Giuseppe, oltre che l'esecutore materiale Giovanni Brusca, è stato condannato all'ergastolo il boss Leoluca Bagarella



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