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10/02/2011 14:38:55

"Perchè sarò in piazza il 13 Febbraio"

Sarò in piazza il 13 febbraio, e sono sicura che insieme alle donne ci saranno moltissimi uomini. Ho firmato l’appello della direttrice dell’Unità, Concita De Gregorio, perché anch’io ritengo che sia il momento di dire basta all’umiliazione ormai «istituzionalizzata». Condivido la critica di Natalia Aspesi, quando si chiede se «c’è una sola delle belle signore governative che abbia avanzato qualche discreta critica al bunga bunga in tema di dignità delle donne». E, prima di adesso, ho guardato con sconcerto il documentario Il corpo delle donne in cui Lorella Zanardo ha, tra le prime, denunciato la quotidiana umiliazione della dignità femminile perpetrata in televisione dove la donna è stata ridotta a creatura ottusa, grottesca, a lacerti anatomici ipertrofici.

Ritengo che molto lavoro sia stato fatto e si continui a fare nel nostro paese per difendere le donne dalla violenza, dalla violazione di diritti fondamentali, o in nome di quelle pari opportunità per le quali si sono spesi uomini e donne insieme. Credo che queste siano ancora oggi battaglie capitali in una società come la nostra dove accanto a vecchi pregiudizi e costumi nostrani difficili da sradicare si innestano usi, costumi, concezioni di culture in cui i diritti delle donne spesso non sono affatto contemplati o sono ancora conquiste pallide.

 

Eppure, devo riconoscerlo, oggi quel che più mi umilia è il fatto stesso che sia qui a dover rivendicare quella dignità della donna che dovrebbe essere un prerequisito di ogni paese che si voglia dire civile.

E mi umilia ancor di più se penso all’odierna contingenza che, nel nostro paese, vede proprio le donne, insieme ai giovani, pagare le conseguenze della crisi economica con il prezzo più alto, l’estromissione in massa dal mondo del lavoro. Mi umilia ancor di più se penso alle ritorsioni, più o meno dissimulate, cui sono soggette le donne che abbiano una qualche intenzione di mettere al mondo un figlio. Cose, queste, che accadono ogni giorno nell’ipocrisia generale e nel silenzio di moltissimi uomini e donne. Mi umilia ancor di più se penso a quel substrato culturale che detta retro-pensieri, lapsus, comportamenti anche irriflessi, e che spinge spesso la maggioranza delle donne (non la Camusso, certo, non la De Gregorio, non la Marcegaglia...), delle donne nella loro quotidianità, a stare un passo indietro, o ad accettare di farlo (quel passo indietro) nella politica così come nel lavoro o nella cultura – oggi più di ieri, – mentre la maggioranza degli uomini considerano quel dato di fatto nell’ordine naturale delle cose, in cui non è poi ancora così «naturale» il contrario.

E mi umilia più che mai tutto ciò, se penso, per esempio, che un’imprenditrice come Luisa Todini sia di fatto costretta a sottolineare che in politica – quando è stata eletta al parlamento europeo nelle liste di Forza Italia – si è «fatta da sola». Eppure noi, in questo paese, abbiamo avuto donne che già alla fine degli anni Settanta si sono conquistate il pieno diritto di rivestire cariche allora impensabili per una donna senza dovere spiegare o giustificare, e senza la gentile concessione di nessuno. E penso a Tina Anselmi (prima donna in Italia ad assumere la guida di un dicastero nel 1976) o a Nilde Iotti (primo presidente donna della Camera dei deputati dal 1979 al 1992!).

So benissimo che c’è una battaglia più urgente contro un’egemonia sottoculturale che ha irriso e devastato la nostra stessa dignità nazionale, e che nell’uso e nel disprezzo del corpo delle donne come merce di scambio trova una delle sue più manifeste discriminatorie espressioni. Però, mi chiedo e vi chiedo – a uomini e donne insieme –, non sarebbe proprio il momento, questo, di tornare a fare il punto su diritti ormai troppo spesso elusi? Non sarebbe proprio questo il momento di esigere un pieno reale diritto di cittadinanza, che è anche diritto (dovere) a condividere fino in fondo (senza gentili concessioni) responsabilità pubbliche, anche le più gravose? Ed esigere anche su questo un patto tra i sessi, perché i passi indietro non siano dettati da evidenti ragioni di genere come ancora oggi accade? Non passa forse anche e soprattutto da lì «il senso di una piena cittadinanza»? Quanti sarebbero disposti a condivisioni di questo tipo, quanti segretari di partito, quanti parlamentari? Quanti uomini anche tra coloro che giorno 13 scenderanno in piazza? E quante donne? (viste le ultime statistiche sui giudizi espressi proprio dalle donne sotto i 44 in merito ai comportamenti del premier). Non sarebbe già un modo di dar seguito alle parole che si sono pronunciate e si pronunceranno ancora in merito alla dignità femminile?

 

E, sempre per dare seguito alle parole, perché ignorare – come sta di fatto accadendo – la proposta della responsabile dell’Osservatorio sulla direttiva europea per le Tv? Di introdurre, cioè, nel contratto Rai emendamenti che impegnino la televisione pubblica «a diffondere anche all’estero una programmazione» che non solo «rispetti l’immagine femminile, la sua dignità culturale e professionale» ma «rappresenti in modo realistico il ruolo delle donne italiane nella società»? Una scelta culturale capace di modificare una società dal profondo non passa anche da questo? Non lo sappiamo tutti ormai che passa anche da questo? Non sarebbe il primo passo da fare?