Sembra un'ovvietà, ma chi ha avuto la sventura di frequentare la sanità, pubblica e privata convenzionata, sa che la realtà è diversa. La Cassazione, però, oggi ha bocciato le "logiche mercantili" nelle linee-guida degli ospedali: se le direttive interne sanciscono che i posti letto vanno liberati prima possibile, la loro osservanza a scapito dell'ammalato non salva il medico dalle responsabilità penali che possono derivare dalla sua scelta. Il principio è stato fissato dalla sentenza 8254/11, emessa dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione.
Secondo i giudici, il medico deve anteporre la salute dell'ammalato a tutto, comprese le direttive interne, laddove esse si rivelino rischiose per il paziente. "A nessuno - ammonisce la sentenza - è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute". Il medico, insomma, non può degradare la sua professionalità "a livello ragioneristico", come un burocrate qualsiasi e, in caso di morte del paziente dopo la dimissione dall'ospedale, non sfugge alla condanna per omicidio colposo soltanto perché rispettò le linee-guida dell'ospedale, cioè la prassi che si applica in casi del genere.
La Cassazione si è pronunciata su una
sentenza di merito d'appello che aveva assolto un medico da ogni repsonsabilità per il decesso di un paziente infartuato congedato dall'ospedale nella nona giornata dopo il ricovero. Secondo la corte d'appello non risultava provato che il caso si presentasse tale da obbligare il medico a disapplicare le linee-guida previste in evenienze del genere. La Cassazione ha annullato il verdetto e sulla vicenda specifica si dovrà pronunciare il giudice del rinvio. Intanto, però, la suprema corte ha fissato un principio cardine, stabilendo che il medico deve assumere la decisione migliore per la salute del paziente e sta dunque a lui verificare nel caso specifico se la prassi delle cosiddette "linee-guida", per quanto legittimamente ispirate a criteri di economicità di gestione, non risulti in contrasto con le esigenze di tutela del malato.
La sentenza ha provocato numerose reazioni, soprattutto fra le associazioni di categoria dei medici. Secondo il segretario dell'Anaao Assomed, Costantino Troise, il verdetto della Cassazione rischia di "alimentare la medicina difensiva": "Condivido assolutamente le premesse, secondo cui l'aspetto professionale deve essere preminente rispetto alle logiche economiche. Ma le conclusioni - dice Troise - mi lasciano perplesso. Un evento avverso può capitare in ogni momento, a casa come in ospedale", mentre è fondamentale che "il paziente sia stabile e asintomatico quando viene dimesso".
Si tratta di una sentenza importante secondo Riccardo Cassi, presidente del Cimo-Asmd, coordinamento dei medici e dirigenti ospedalieri), perché riporta il medico "al centro delle decisioni diagnostico-terapeutiche, dopo anni di predominanza di logiche economiche che hanno cercato di trasformarlo da professionista in dirigente impegnato a cercare di far risparmiare le aziende". Secondo Cassi, il principio andrebbe trasferito in una norma di legge, "altrimenti il medico si troverà esposto a sanzioni da parte dell'azienda se non rispetta le 'logiche di mercato'".
"Questa sentenza sarebbe una buona notizia se sanzionasse le scelte della struttura ospedaliera e non quelle del singolo medico - dice Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil-Fp medici - ; il medico rischia così di pagare sulla propria pelle i limiti di un sistema sanitario che affronta una deriva ragionieristica. In un sistema impoverito, una politica sanzionatoria che contrappone i diritti dei cittadini alla professionalità dei medici - avverte Cozza - rischia di alimentare il ricorso a forme di medicina difensiva che non tutelerebbero i primi e mortificherebbero i secondi".