Di questi, 4 riguardano delle imprese siciliane. Secondo gli ultimi dati di B@checa lavoro, il portale dell’assessorato regionale, dal 3 aprile al 24 agosto di quest’anno, i nove uffici provinciali del lavoro hanno emesso in tutto 737 decreti per ammortizzatori sociali in deroga. Ovvero: il sostegno ai lavoratori di imprese in crisi che per dimensione (quelle piccole) e per tipologia di attività non possono rientrare nei benefici ordinari.
Di questi 270 sono di cassa integrazione (per 7.812 lavoratori e un monte-ore di 6.259.959 e un costo previdenziale di 60.390.318 euro) e 468 di mobilità (per 2.214 dipendenti, con una richiesta di copertura per 38.418.459 euro). Dentro c’è di tutto: basta prendere la prima (la palermitana ”Argenteria Di Cristofalo Srl”, con 6 in mobilità) e l’ultima (la ragusana ”Car Wash Service di Latino Vincenzo& C. Snc”, con un cassintegrato) dell’elenco cronologico del database per rendersi conto.
E anche se si allarga l’orizzonte alla Cigs (la procedura applicata alle aziende con più di 15 dipendenti concessa direttamente dal ministero del Lavoro) la situazione siciliana è drammatica: secondo i dati dell’osservatorio Cig della Cgil, relativi al luglio 2012, in Sicilia ci sono 77 gruppi, per un totale di 254 unità produttive, in stato di «crisi aziendale o di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale», con un imprecisato numero di lavoratori coinvolti,
e un aumento del 60,43% rispetto al 2011. Secondo il 42° “Rapporto Cig” della Uil nazionale, in tutto il primo semestre 2012 in Sicilia si registrano 10,4 milioni di ore di cassa integrazione, con
una leggera flessione (-7,2%) di quella ordinaria, ma aumenti record a livello nazionale per quella straordinaria (+137,7%) e per quella in deroga (+257%).
«A fronte di circa 256 milioni di euro per tutto il 2012 come fabbisogno - ricorda il segretario regionale della Cisl, Maurizio Bernava - di cui il 60% a carico del governo nazionale e il restante 40% della Regione attingendo al Fondo sociale europeo, per adesso c’è soltanto la certezza
di 60 milioni dal governo, il resto è un’incognita sulla testa di migliaia di lavoratori siciliani».
Ma quali sono i numeri complessivi di quest’autunno alle porte?
«Innanzitutto - ricorda Claudio Barone, segretario regionale della Uil - ci sono le vertenze-simbolo, quelle dei grandi gruppi: Termini Imerese, con la situazione azzerata dopo il disimpegno di Dr Motors e 1.500 persone in ballo, al netto dei prepensionamenti, la crisi del Petrlochimico, con la fermata degli impianti Eni e 800 lavoratori dell’indotto in crisi e i dubbi su riconversioni e disimpegni nel polo aretuseo, che investono il futuro di centinaia di persone, con in più l’occupazione aggiuntiva prevista e non realizzata dal mancato avvio del rigassificatore. Poi l’incognita dell’Etna Valley e i problemi di St, Numonyx, 3Sun e Nokia-Siemens, con quasi 5mila lavoratori col fiato sospeso. Per quanto riguarda trasporti e cantieristica, alla già consolidata emergenza Fincantieri, oltre 700 unità solo l’indotto senza paracadute.
«Non dimentichiamo - aggiunge Mariella Maggio, segretario regionale della Cgil - che si è aggiunta la situazione di Wind Jet, con 800 persone coinvolte, di cui almeno 300 per ora senza cassa integrazione. Questa è la vertenza simbolo di un’isola isolata, dove l’unica alternativa alla desertificazione è un nuovo governo regionale che faccia esattamente l’opposto di quello uscente: avere un’idea di piano industriale sulla quale sedersi al tavolo del governo Monti. E
in questo contesto la priorità è il capitolo delle infrastrutture sulle quali concentrare la maggior parte degli sforzi e soprattutto la rimodulazione delle risorse comunitarie». Per non parlare della
grande distribuzione, «con quasi 10mila lavoratori a rischio - dettaglia Barone - soltanto nei duegruppi, Migliore e Aligrup, più importanti e decine di altri casi di ipermercati che aprono e cannibalizzano concorrenza e occupazione».
Inoltre c’è il progressivo processo di delocalizzazione dei call center (in fuga dalla Sicilia, sempre più verso l’Est Europa) con almeno 16mila posti in bilico, di cui 12mila solo fra Palermo e Catania.
E poi il settore dell’edilizia, «con circa 20mila lavoratori coperti dalla cassa edile, ma dal destino incerto nel 2013». E non finisce qui l’elenco delle vertenze “private”, a cui bisogna aggiungere le
migliaia di aziende agricole (15mila la stima delle associazioni di categoria) che minacciano di chiudere stritolate da tasse e concorrenza globale, più l’emorragia di imprese artigiane (700 ogni semestre secondo il report regionale di Cna), «con un risvolto di migliaia di posti che si perdono in una polverizzazione di chiusure silenziose », ricorda Bernava. Nel “limbo” ci sono circa duemila esodati (a rischio di restare senza pensione
dopo aver perso lo stipendio) fra Fiat, Poste e istituti di credito. Il segretario regionale della Uil apre il “file” dei posti nel settore pubblico e del precariato made in Sicily. Con questi altri numeri che ballano: 22.500 precari degli enti locali, 6mila Asu, 7mila Lsu, 9mila operatori della formazione, 22mila forestali, tutti «fin qui garantiti, seppur con forme discutibili e talvolta ricattatorie dalla politica, ma adesso - ammonisce
Barone - davanti a uno scenario che fra spending review e casse regionali all’asciutto, si pongono il problema della sopravvivenza». Barone tira fuori «una bomba innescata, destinata a esplodere nelle mani del prossimo governo regionale», costituita da «circa 40mila persone, fra dipendenti assunti e imprese appaltatrici, che rischiano di essere travolte dal crac degli Ato rifiuti
in Sicilia». Di questi, secondo Bernava, «almeno 10mila riguardano direttamente le società, ma la maggiore tensione sociale si registra nel settore delle partecipate e controllate della Regione e degli enti locali, con altre migliaia di posti a rischio. Il modello Gesip ci deve far riflettere: Monti tira fuori i soldi soltanto davanti a piani di ristrutturazione e riduzione, uno scenario che contraddice l’esito fallimentare della politica siciliana e soprattutto l’irresponsabilità degli “spacciatori di bugie” che tornano a dare fiato alle trombe in campagna elettorale ».
Tirando i conti in colonna, «da quest’autunno fino al 2013 in Sicilia - questa la stima di Barone - ci sono almeno 120mila lavoratori il cui futuro è seriamente minacciato, un salto nel buio aggravato anche dal clima di campagna elettorale dove qualcuno non resiste
alla tentazione di promettere nuovo precariato».